Table of Contents Table of Contents
Previous Page  548 / 1981 Next Page
Information
Show Menu
Previous Page 548 / 1981 Next Page
Page Background

Per arrivare a comprendere, come prima

dicevo, questo suo modo di sentire, che appare

nel nord così strano e talvolta l'orzato, bisogna,

almeno per un poco, aver aderito allo spirito

«Ielle cose di questi luoghi, che paiono animate

di per sè di una vita che non può mai finire.

Venuto d'Abruzzo con piccola aureola di

gloria, trovava in Roma accoglienza buona ed

ambiente favorevole a lui. che era venuto

con animo di conquistarla. E per quella sua

straordinaria facoltà di assorbire i caratteri

di un ambiente già in accordo col suo animo,

non gli ci volle molto per impadronirsi di

quello strano mondo, sentore di cose sacre e

sensuali, ombre ed aperture di cielo, oscurità

e luci improvvise. Egli, attento a cogliere luci

suoni colori, tutto ciò che impressiona i sensi

in particolare, giunge alla manifestazione di

un complesso che può anche essere il signi­

ficato di un momento storici» perpetuo. Mo­

mento che proprio vive di queste luci, di

questa sensualità, di questi impensati pre­

ziosismi; bizantinismo che si giustifica col­

l'esuberanza. gusto talvolta barbaro che trova

la sua ragione nella forza. Ed io credo che

pochi dei nostri autori siano stati più italiani

di D'Annunzio, senza per altro voler dare un

significato di regionalismo a quello clic invece

è vita deH'ambientc. Occorre tener fermi

questi dati fondamentali anche parlando degli

eventuali scambi tra D'Annunzio e l'estero.

Così pensando, i poeti di cui prima parlavo,

se pure sono di non piccola importanza nei

riguardi dello sviluppo del Nostro, sono poi

ancora sempre da vedersi in una luce parti­

colare. Questo meridionale ardente, avido, nu­

trito di ricordi classici, miti mediterranei e

solari che gli pulsavano nel cuore e gli vive­

vano nel sangue. >i accostò agli stranieri solo

per quel tanto che poteva avere di comune

con essi. Analogie fra gli uomini di primo piano

sono sempre reperibili, sopratutto fra contem­

poranei. dove lo stesso « mal del secolo » (di­

ceva Carducci per Leopardi) viene assorbito

e quasi respirato. Gli uomini rappresentativi

hanno da essere più che gli altri attaccati da

questo male, poic hé sono destinati a rimanere,

ed il tempo loro, senza di loro, non sarebbe

ricordato. In questa debolezza apparente sta

molto della ragione della loro grandezza. Ora.

>ul finire dell*800. quando De Nittis vedeva

soltanto donne eleganti e velate in carrozze

tra fiori, e tube lustre e carpini di coppale e

grandi mazze da passeggio: quando Manet

immaginava cavallerizze stanche dal seno an-

-ante nel giubbetto procace; e dopo il salotto

della marchesa Tale

o

della contessa Talaltra,

si andava a brillare ai Parioli

o

a Longchamps;

e

le poesie di Carducci parevano sgarberie a

chi

aveva gustato Mallarmé;

e si

sognava il

ritorno a Citerà; D'Annunzio seppe trovare

(ma nulla di più spontaneo per lui) la possibilità

di un connubio fra un’ode barbara c un

poèmi'

saturni

v ii

, e »i preparò la via alle

Laudi.

Non ripugnava al suo spirito il farsi fre­

quentatore di luoghi raffinati che piacevano

al suo gu-to di meridionale; la Roma di allora

era. nel

milieu chic,

una specie di succursale

di Parigi; come al tempo della

M ia

prima

calata a Roma vi arrivava già noto per il

Canta Novo,

così quando andò a Parigi vi

giungeva già famoso per il

Piacere

tradotto

da Georges Hérelle. Invano

VOrciorli

del Cico­

gnini di Prato si lagnava: « Era così bravo in

composizione latina! . Una via più ampia era

aperta, dopo l'inizio della sapientissima fu­

sione tra il meglio delle varie correnti che allora

vivevano.

Ma se aveva scandalizzato i borghesi con

l'

Intermezzo

e il

Libro delle Vergini

e il

Piovere.

ed incominciava a dar lavoro alla Congregazione

dell'indice, dal lato del pensiero poteva pure

produrre non piccolo effetto su moralisti e filo­

sofi. Sappiamo come nell’artista il pensiero non

tanto debba apparire in forma di esposizione

diretta, quanto in forma di rappresentazione

attraverso l'animo dei personaggi e delle cose.

E l'opera di D'Annunzio stava popolandosi di

uomini superbi, superuomini di straordinaria

vitalità fisica e spirituale, persone che vive­

vano con molta comodità al di là del bene e

del male, sempre loro in prima linea e gli

altri molto, molto al di-otto,

h'uebermensch.

se già non avesse trovato in Nietzsche forma

artistica forse più che non filosofica, l'avrebbe

trovata in D'Annunzio. Allora si gridò » Ni­

etzsche! ", e molti furono felici.

Effettivamente qualcosa del pensiero, tanto

suggestivo per un artista, del filosofo pazzo,

doveva esser penetrato in D’Annunzio, quan­

tunque egli stesso, di fronte alle accuse, ne­

gasse la filiazione ammettendo solo la coinci­

denza. Ma Nietzsche rappresentava, in quel

momento, la direttiva del pensiero che si era

svolto nell'ultimo quarantennio, e che non

era ancor giunto a conclusione. Era la di­

sperata. e perciò più sicura ed attraente con­

clusione filosofica di quel gran tormento che

era incominciato con Baudelaire, il

dandy

in

monocolo e guanti, che canta il

Vin de VAs~

sassin;

che aveva spinto Rimbaud

dW'Oraison

du Soir

ed alla

Saìson;

aveva fatto ripiegare

Mallarmé verso Tuniche plaghe serene per lui.

i miti greci e l’eleganza parigina: aveva mosso

il Carducci ad imprecare contro l’enorme mi­

ster dell’universo ; il travaglio che aveva avuto

da ognuno un'espressione tormentata, e di*

venterà tormentosa nello stesso Nietzsche, che

dirà

l'ultima parola sul movimento. Ma quello

che

D’Annunzio potrà dire ancora non sarà il

riassunto quieto di un movimento concluso:

gli Stelio ESfrena non sono sempre superbis-