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non dico, come Moréas e Stephan George,

parecchio, mi pare, su altra via. Quanto al

Nostro, forse superiore agli altri nello slancio

di quest’atteggiamento superumano, anche

sorpassato quel limite approssimativo della

grande produzione, lavorava ancora sul suo,

ogni nuovo libro era un correggere e un limare

la sua produzione primitiva, dalla quale non

non era mai uscito.

Ma non basta, per rendere completa l'im­

magine del Poeta, osservare quello che egli

stesso può aver preso, o quanto può aver

dato al mondo. Sarebbe pure bello vedere

con paziente attenzione, quello che nel mo­

mento della nascita del fenomeno artistico, si

riattacca al mondo culturale che spesso ne è

l'origine.

Si sa che fin dal tempo del collegio egli era

curiosissimo di vocaboli ed espressioni nuove,

tendeva alla conquista della lingua, per poter

farla diventare linguaggio, come un armigero

accresce e coltiva la sua collezione d armi. E

quanto più erano preziose le scoperte, di tanto

maggior giubilo si accendeva, come se lo

strumento acquistato gli potesse offrire un

maggior spiegamento di volo. E così i parti­

colari linguistici e culturali (si pensi alla sua

conoscenza di cose eruditissime e rare del­

l’alto medio evo), andavano fondendosi in

un'unica conquista, che tendeva a fare di lui.

accesissimo cultore di cose belle, l'unico depo­

sitario in Europa di difficili ricchezze. Il fe­

nomeno, che potrebbe richiedere analisi oscure

e poco facili, si chiarifica nell’atto della sintesi,

quando si sfrondi il complesso di certi aggeggi

che paiono concresciuti, mentre sono soltanto

apposti.

Ma io lascio da parte, per ora. argomenti che

potrebbero esser di vivissimo interesse in

questo nostro cercar di vedere tutta intera

la figura del Poeta, al di fuori delle distinzioni

dei generi, per cui non vorrei che si parlasse,

altro che per comodità didascalica, di D ’An­

nunzio romanziere, o poeta, o scrittore di

teatro. E neppure parlerò di quei lati a cui

prima accennavo, come sarebbe, ad esempio,

Pesame del D'Annunzio compiuto dai critici;

o il suo atteggiamento di fronte ai libri o

quello che potrebbe chiamarsi la meccanica

del verbo; o ancora certo delicato psicologismo

che si potrebbe scoprire in una felice confu­

sione tra la vita pratica e quella artistica del

Poeta.

Ma per finire in breve il nostro piccolo as­

sunto, riprendiamo il sunto degli sviluppi.

Quando gli elementi che diremo abruzzesi, o

italici, fusi con quelli di Roma, e poi con quelli

che per tutta Europa, e particolarmente in

Francia, erano l'indice del modo di sentire del

secolo, giunsero tutti insieme ad un'amalgama

compiuta, sempre nell’àmbito del suo parti­

colare modo d'arte, egli seppe darci cose che

indubbiamente non si erano mai viste, per le

quali seguaci e nemici cercarono aggettivi

proporzionati all'argomento. E senza dubbio

valeva la pena di quel gran movimento e

turbamento che fece nascere.

Se in seguito egli stesso provvide, come

prima dicevo, a far storia della propria cro­

naca. non glie ne dobbiamo lar colpa. Era

naturale conseguenza di un atteggiamento che

aveva bisogno di ogni contributo per assu­

mere forma stabile. Egli è di quei pochi che

abbiano loro stessi concluso quello che avevano

iniziato. Ha fornito ai critici, agli studiosi,

agli artisti, materiale immenso: contributo alla

storia dell'arte e della civiltà. Moltissimo an­

cora rimarrà da dire, in ogni tempo, intorno

alla sua opera in particolare, a mano a mano

che i segni della sua creazione, usciti dall'in­

teresse immediato, si fonderanno in un assieme

che si collega con altri movimenti in Italia e

all’estero, o con la loro propria origine: ché

la sua non è vita che si dimentichi, come una

delle più rappresentative e coraggiose in tutti

i sensi. Pochi autori nostri sono noti all'estero

quanto D ’Annunzio.

E poi. visto il lato, diremo così, esterno o

storico della questione, rimarrà ancor sempre

da vedersi il Poeta come uomo d'arte, lo

scopo a cui consacrò la vita e per il quale pure

molto sofferse. Non è cosa da nulla o poco

faticosa il rimanere sempre in primo piano

anche di fronte a se stessi. Ripenseremo al suo

travaglio, alle sue notti insonni, alle sue ri­

cerche di cose belle, al suo tentativo di ricreare

un mondo nuovo, astratto, diverso da quello

di tutti noi; un mondo forse assurdo, ma bello,

grande, degno dei semidei e degli eroi di vi-

chiana memoria.

Ma forse in questo ci fu il mancamento.

Nel primitivo spogliarsi per ritrovare il senso

delle cose prime, e nel successivo arricchirsi

per condurle all’altezza del mito, può stare

la nascita di una tragedia: nel momento in

cui queste cose, ricreate, possono pure per­

dere la vita ed essere forme statiche. Se uno,

per amore di paradossi, pensasse che tutte le

sofferenze di Francesco d’Assisi, quel suo mar­

toriarsi, quel repentino spogliarsi d'ogni cosa,

lo portarono al godimento sommo del Cantico

delle Creature, per cui sapeva di possederle

tutte: nel caso di D ’Annunzio potrebbe pen­

sare che se non minore fu il travaglio della

ricerca dell'essenziale, minore certo fu la gioia

del produrre, che dà quel senso, che talvolta

si sente, della cima non raggiunta. E questo

è il luogo della tragedia.

MNO BAVA