Table of Contents Table of Contents
Previous Page  551 / 1981 Next Page
Information
Show Menu
Previous Page 551 / 1981 Next Page
Page Background

•rran diffusione di ori c di velluti, per guardare

lutto il contorno, dimentica il primitivo scopo

mistico della sua entrata.

Ed ancora nella sua opera è bene discernere

quello che è ispirazione nativa, da quello che

è

ripresa, fissamento o solidificazione di una

trovata fortunosa. Perché quello che dicevo

prima, del fermarsi cioè su quel suo mondo di

miti, i quali lo spingono e lo trattengono tra

loro, ed esigono cure grandi per diventare

realtà fantastiche compiute, il che è la ragione

dell’avere, in arte, spesso evitato la ricerca e

l’approfondimento, è quanto lo porta, nella

prima parte della sua vita, ad una forma

d’arte fortunatissima e splendida, che poi

spesso si ripeterà fìno a diventare fenomeno

culturale.

A parte l’interesse grandissimo di un esame

particolare delle sue opere principali, siamo

ormai tutti d’accordo sulla preminenza della

sua produzione di più di un decennio, all'in-

circa, dopo il novecento. Ed in quel gran

pullulare di scuole nuove e correnti che vi

furono allora, ed ancora adesso alcune non

sono spente, egli tranquillo rimase con i suoi

sogni ed i suoi seguaci, a perseguire quell'unica

via larghissima che giovanissimo si era aperto

e fino alla morte, si può dire, continuò.

Sui libri delle Laudi, sopratutto, si fissò l’at-

tenzione di quanti compresero l’opera sua:

e su questi si fìssa ancora. Lasciamo da parte

le questioni di osservazione totale o parziale

dell opera, frammento o complesso, ché son

problemi vecchi; ma certo in quel tempo rag­

giunse la pienezza dei suoi mezzi e la migliore

espressione. Ma anche qui, tra i nomi che ci

vengono dalla mente durante la lettura (a

parte i pensatori, per l’atteggiamento che si

è

già discusso), oltre a quello di Rimbaud (il

primitivo paganeggiante, non il peccatore

aspro della Saison), pensiamo a Pindaro; e

qualche volta, perfino nello splendido libro

III,

a parte qualche brano dei più famigliali a

noi tutti, proprio pensando a Pindaro, sempre

seguendo un analogo sviluppo di mito, ci ricor*

diamo di aver provato quello stesso senso di

sazietà che ci prendeva quando, seguendo il

Greco, da un’immagine ne nasceva un’altra,

e si passava dalla Grecia all’Asia Minore, da

Agrigento all’Olimpo, senza soste, sulle ali

di una grande fantasia lucida, fredda, spietata;

a volte crudele in quell’erigere statue splen­

dide in un paesaggio senz’ombre, tutto solare,

dove personaggi senza turbamenti vivevano

in luoghi perfetti; e ci prendeva pena per

la nostra povera, piccola umanità dimen­

ticata.

Ma quello che il Gargiulo ha chiamato

«estetismo superumano », non è che un messo

per cancellare attraverso facoltà visive ed

o

i/fc

i o

/ir,

j

t f M L W ó L

H / t l

h v U

l i

r i i * k

M 4 / H

t M ,

j

uditive qualche altra nostra sensibilità. Da

Pindaro a D ’Annunzio, mutato l’ambiente e

il modo d’esprimersi, la linea è diritta: le loro

espressioni non fanno una grinza, ancora un

passo, e siamo in Olimpo. Ma l’elevazione,

in questo senso intesa, è egoistica; il poeta,

giunto a quell’altezza di lucenti trasparenze,

non ha più accanto a sé l’umanità, i modi da

cui anch’egli, come tutti, ha preso le mosse:

è giunto a quel punto fatale e pericoloso, a cui

prima accennavo, per progressivo spogliarsi

di scoria, fino a diventare lui stesso un mito,

teso alla realizzazione di se stesso, padrone di

un’orbita sua a cui fatalmente è condannato;

e qui basta quel passo falso, quella nota sto­

nata, perché la statua da magia animata

ritorni pietra, e il sole un disco d’oro privo di

luce propria.

Una parabola somigliante avevamo già no­

tato in altri, ché nonèpeculiare di D’Annunzio.

Già Rimbaud aveva corso

un

rischio simile,

ma la sua crisi si era risolta in

un

tuffo disperato

in allucinazioni e fantasie luttuose, con animo

mutato; anche Verlaine, dopo aver corso il

perìcolo di cadere in un presiosismo di maniera,

si buttò ai poemi della conversione, da cui

uscì, se non migliorato, almeno mutato; di

Wilde ho detto, di quell'improvviso, sorpren­

dente umanizzarsi delle ultime opere; di altri

«