Table of Contents Table of Contents
Previous Page  554 / 1981 Next Page
Information
Show Menu
Previous Page 554 / 1981 Next Page
Page Background

LAMENTO PER LA FIGLIA DEL PESCATORE

I C A P I

Nel fresco giorno ha rateato

m

poca terra il tuo piede «calzo!

Hai fatto questi due passi

fra l'orlo del mare e la piana

soglia iridata di salso

della tua casa a terreno.

Kri sul lembo del suolo

che il grande azzurro frantuma.

I)a questa ruga di spuma

vacillavi già in braccio al sereno

come su l’uscio del mondo.

Oh. su la nostra marina

il tuo soggiorno fu mite

e sottovoce, fanciulla

ammainata come una vela

nel bianco dei tuoi pensieri.

Ora canti su l’altra tua riva.

Noi tristi che non ti vedremo

più cucire ie bionde reti,

riempir di guizzo i panieri,

i tuoi occhi di calmo celeste.

Ora tuo padre ha dipinto

le sue barche di un filo di lutto,

gli tremi viva nel flutto

battuto dal lagrimante remo.

Uno vi era. sopra una moltitudine di uomini

simili al grano quando trascolora e mormora.

Quasi affaticandogli il polso

quel battito di polsi immenso, un affanno

gli premeva il respiro.

Guardava pensieroso, non gli innumeri occhi,

ma sopra essi

verso il monte e la sera.

Cosi, rasserenandosi il vespero. alza lo sguardo il pastore

stanco, e davanti gli stanno, sopra le selve, gli alti

i sospirati prati verso cui mosse.

Ma assorta è la sua gioia.

In lui intenti stavano gli oscuri, con un pensiero

di primavere felici, di floride spighe

che qualcun altro un giorno

carezzerà dalle prode.

Non li attristava la morte, sperando che forse da essa

udrebbero ancora, sepolti, uno stormire

un bisbiglio di case umane.

E se anche questo fosse negato all’uomo,

pensavano meno amara la morte

di chi sta fra i compagni.

marinai schierati che affondano con un canto.

ANGELO BARILE

UGO BETTI

CHIARO DI LUNA Al MONTI

... In questo luogo fondo come un’urna,

son dunque condannato a ricordarmi

della vita, che in me visse un’oscura

forza più cieca del torrente? Io

di vivere credevo, io vissuto

dai fiumi del mio sangue antichi come

le lave della terra. Ed in quest'ora

così tremenda di tanto comprendere,

io ti riveggo, creatura calda,

ah respirante, il cui marino seno

pàrvrmi contenere più segreti

che l'oceano coi suoi tenui sorrisi

ed i massicci mostri! e veggo ch'io

amai alcune curve di velluta

materia, più di quanto era invisibile

entro te, forse, e senza

ritorno; e la primèva fiera, che

sotto il mio nome occulta, si era ebra

dell’alte vene della gioventù,

te non avesti te incontrata un giorno

di scatenati desidèri, certo

con altrettanto feroce perfetto •

attaccamento, avrebbe scelta un'altra

molle materia di respiro infusa.

Perchè in un giorno, in una

ora ch’io to, t'erano scatenati.

i miei dèmoni nei miei strani regni?...

Ah! non importa più degli altri, questo

ricordo che in me fu

tanto grande! Ricordo le contorte

radici d'ogni bel pensiero e puro

onde mi parve ch'io il mondo adornassi.

In questa conca

di dure piante, io d'intorno veggo

mille fratelli che alla dora mia

vita paurosamente natomigliano.

Confessi di radici aspre io tormento

ogni prossima roccia a berne cupi

nudrimenti. confessi pongo quasi

una ferocia pur

nella trepida sete, onde le più

sottili foglie bevono

il più sottile filtro

dei puri cieli. Gli alberi son muti,

come io sono muto per gli eventi

fondi che fanno il mio vorace esistere.

Ogni fuggiasca nota

di canto casta come un armonin--o

fruscio d'alba e di brezza, via itwtMK,

al di sopra del mio vero segreto,

senza ad alcuno rivelarmi. So

oggi, troppo di me... Nella scoscesa

altezza onde noi muti ed aspri siamo

circondati, io e quest’alberi dell'ombra,

veggo scalate di divine rocce,

di luna candidissime, scolpite

sul cielo. Li non trema

foglia nè cupa brama di radice!

Rocce, soltanto rocce.

al di là del mio mondo arcanamente

sospese nella quiete

lunare. Non un monte, la divina

ttatua d'un monte... Un silenzio, al di là

della vita purissimo, alto impera

su quei gioghi che sembrano altari

immensi della notte. Ed io quaggiù.

fra i cupi alberi miei

fratelli, tono il solo albero aspro

pensante, die diacene con pupille

il mondo bianco e statuario dove

non è dato sabre a chi si dense

Kafe nasconde, di

decantate

ehm. nella tua vita perita».

ALDO CAPASSO