

LAMENTO PER LA FIGLIA DEL PESCATORE
I C A P I
Nel fresco giorno ha rateato
m
poca terra il tuo piede «calzo!
Hai fatto questi due passi
fra l'orlo del mare e la piana
soglia iridata di salso
della tua casa a terreno.
Kri sul lembo del suolo
che il grande azzurro frantuma.
I)a questa ruga di spuma
vacillavi già in braccio al sereno
come su l’uscio del mondo.
Oh. su la nostra marina
il tuo soggiorno fu mite
e sottovoce, fanciulla
ammainata come una vela
nel bianco dei tuoi pensieri.
Ora canti su l’altra tua riva.
Noi tristi che non ti vedremo
più cucire ie bionde reti,
riempir di guizzo i panieri,
i tuoi occhi di calmo celeste.
Ora tuo padre ha dipinto
le sue barche di un filo di lutto,
gli tremi viva nel flutto
battuto dal lagrimante remo.
Uno vi era. sopra una moltitudine di uomini
simili al grano quando trascolora e mormora.
Quasi affaticandogli il polso
quel battito di polsi immenso, un affanno
gli premeva il respiro.
Guardava pensieroso, non gli innumeri occhi,
ma sopra essi
verso il monte e la sera.
Cosi, rasserenandosi il vespero. alza lo sguardo il pastore
stanco, e davanti gli stanno, sopra le selve, gli alti
i sospirati prati verso cui mosse.
Ma assorta è la sua gioia.
In lui intenti stavano gli oscuri, con un pensiero
di primavere felici, di floride spighe
che qualcun altro un giorno
carezzerà dalle prode.
Non li attristava la morte, sperando che forse da essa
udrebbero ancora, sepolti, uno stormire
un bisbiglio di case umane.
E se anche questo fosse negato all’uomo,
pensavano meno amara la morte
di chi sta fra i compagni.
marinai schierati che affondano con un canto.
ANGELO BARILE
UGO BETTI
CHIARO DI LUNA Al MONTI
... In questo luogo fondo come un’urna,
son dunque condannato a ricordarmi
della vita, che in me visse un’oscura
forza più cieca del torrente? Io
di vivere credevo, io vissuto
dai fiumi del mio sangue antichi come
le lave della terra. Ed in quest'ora
così tremenda di tanto comprendere,
io ti riveggo, creatura calda,
ah respirante, il cui marino seno
pàrvrmi contenere più segreti
che l'oceano coi suoi tenui sorrisi
ed i massicci mostri! e veggo ch'io
amai alcune curve di velluta
materia, più di quanto era invisibile
entro te, forse, e senza
ritorno; e la primèva fiera, che
sotto il mio nome occulta, si era ebra
dell’alte vene della gioventù,
te non avesti te incontrata un giorno
di scatenati desidèri, certo
con altrettanto feroce perfetto •
attaccamento, avrebbe scelta un'altra
molle materia di respiro infusa.
Perchè in un giorno, in una
ora ch’io to, t'erano scatenati.
i miei dèmoni nei miei strani regni?...
Ah! non importa più degli altri, questo
ricordo che in me fu
tanto grande! Ricordo le contorte
radici d'ogni bel pensiero e puro
onde mi parve ch'io il mondo adornassi.
In questa conca
di dure piante, io d'intorno veggo
mille fratelli che alla dora mia
vita paurosamente natomigliano.
Confessi di radici aspre io tormento
ogni prossima roccia a berne cupi
nudrimenti. confessi pongo quasi
una ferocia pur
nella trepida sete, onde le più
sottili foglie bevono
il più sottile filtro
dei puri cieli. Gli alberi son muti,
come io sono muto per gli eventi
fondi che fanno il mio vorace esistere.
Ogni fuggiasca nota
di canto casta come un armonin--o
fruscio d'alba e di brezza, via itwtMK,
al di sopra del mio vero segreto,
senza ad alcuno rivelarmi. So
oggi, troppo di me... Nella scoscesa
altezza onde noi muti ed aspri siamo
circondati, io e quest’alberi dell'ombra,
veggo scalate di divine rocce,
di luna candidissime, scolpite
sul cielo. Li non trema
foglia nè cupa brama di radice!
Rocce, soltanto rocce.
al di là del mio mondo arcanamente
sospese nella quiete
lunare. Non un monte, la divina
ttatua d'un monte... Un silenzio, al di là
della vita purissimo, alto impera
su quei gioghi che sembrano altari
immensi della notte. Ed io quaggiù.
fra i cupi alberi miei
fratelli, tono il solo albero aspro
pensante, die diacene con pupille
il mondo bianco e statuario dove
non è dato sabre a chi si dense
Kafe nasconde, di
tè
decantate
ehm. nella tua vita perita».
ALDO CAPASSO