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I N C O N T R O

Tu non m’abhandonarr mia tristezza

sulla strada

rhr urta il vento forano

co* suoi vortici caldi, r spare; cara

tristezza al soffio che si estenua: e a questo,

sospinta sulla rada

dove l'ultime voci il giorno esala

viaggia una nebbia, alta si flette un'ala

di cormorano.

l.a foce è allato del torrente, sterile

d'acque, vivo di pietre e di calcine;

ma più foce di umani atti consunti,

d'impallidite vite tramontanti

oltre il confine

che a cerchio ci rinchiude: visi emunti,

mani scarne, cavalli in fila, ruote

stridule: vite no: vegetazioni

dell'altro mare che so«Tasta il flutto.

Si va sulla carraia di rappresa

mota senza uno scarto

simili ad incappati di corteo,

sotto la volta infranta ch’è discesa

quasi a specchio delle vetrine,

in un'aura che avvolge i nostri passi

fitta e uguaglia i sargassi

umani fluttunnti alle cortine

dei bambù mormoranti.

Se mi lasci anche tu, tristezza, solo

presagio vivo in questo nembo, sembra

che attorno mi si effonda

un ronzio qual di sfere quando un'ora

sta per scoccare;

e cado inerte nell'attesa spenta

di chi non sa temere

su questa proda che ha sorpresa l'onda

lenta, che non appare.

Forse riavrò un aspetto: nella luce

radente un moto mi conduce accanto

a una misera fronda che in un vaso

s’alleva s’una porta di osteria.

A lei tendo la mano, e farsi mia

un'altra vita sento, ingombro d'una

forma che mi fu tolta; e quasi anelli

alle dita non foglie mi si attorcono

ma capelli.

Poi più nulla. Oh sommersa!: tu dispari

qual sei venuta, e nulla so di te.

La tua vita è ancor tua: tra i guizzi rari

dal giorno sparsa gii. Prega per me

allora ch’io discenda altro cammino

che una via di òtti,

nell'aria pèrsa, innanzi al brulichio

dei vivi; ch’io ti senta accanto; ch'io

scenda senza viltà.

EUGENIO MONTALE

A L B E R O

Come un albero nuovo,

ogni giorno, ogni ora,

all'ampio delo t’innalzi,

nell’aria bianca della tua gioventù.

Miracolo di linfa, agile fuoco,

per le vene ti scorre; e primavera

dentro gli occhi ti ride innamorata.

Un vento favoloso

il volto ti accarezza, e i capelli

leggieri, e le labbra, e le mani,

quasi fossero, di te. giovine Iddio,

foghe e gemme dischiuse,

entro il levato sole.

Rinnovando cosi la prima gioia

dell’uomo antico e dell'antica terra,

da misteriose radici purpuree

trabocchi amor di vita;

e, alla vita, alato —

in attesa dei fratti maturi

che un mattino spunteranno puri

nel caldo dell’estate, —

candidamente ti doni.

Allora, alla tua ombra, dolce

si afiderà la mia vecchiezza in pace.

GIUSEPPE RAVEGNANI

A DINO GARRONE

Senza desideri, sol macigno d'un colle

mi smarrivo in quella vista e giacevo, quando

una frasca d’olivo, portata dal vento

blando di primavera, mi corse vicino.

Parve per un poco si fermasse, ma appena

tesi a lei le braccia, tutta cerala quella

ripigliò pel colle la sua docile fuga.

Ed io levato l’ebbro capo dalle lastre

che s'incendiano al sole, che intenso il ginepro

semina di profami, la guardai sparire;

e mi rivenne a mente la poca tua vita.

Come una frasca cernia che il vento stralcia

dall’albero, ed inoltra per macigni e boschi

e batte sui brulli stradali, era trascorsa

ella un mattin di maggio per molti paesi,

felice de’ deli, non sentendo ferite,

baciando il sasso eil pruno, perdonando a queste

lente braccia ch'io tesi, ch’io le tesi invano.

Fanciullo, fanciullo, che senz’ombra nei cuore

non desti a noi che bene, che avevi la bella

persona e l’impeto de’ ventenni d’Italia,

quanto dai grandi poggi a i vien di te odore,

quant'alta nell’aria la tua voce risuona!

La tua voce che t’è perduta, che mi toma

coll’acceso maggio lungamente all’altare.

BERTO R IC a