

CANTO AL CREATORE DEL MONDO
A L L A SERA
Non liimrntarr la fatici» vana
ili quest‘ansia tli cielo. la tua vita
si \olge in cerchio chiuso.
oscuro un senso ha l'inutile lotta:
e ijuando esausto abbandonar le braccia
ti sarà forza.
l'ardue pareti dell’atroce muda
scoperte, oh quel sonante vivi» mare,
e la tepida terra, e il ciel ch'echeggia
ai tuoi pugni. saprai
nel denso ritmo del tuo «angue
l'ansia delusa: e nascerà fra i denti
solingo un rìso che alla piana grilla,
le nude braccia aprendo ai freddi cieli
te chiamerai sublime creatore del inondo:
finalmente sapere che si chiude
nel macn» cranio la gagliarda forza
dei venti, e l'impeto dei fiumi,
di profumate valli la dolcezza
e il ritmo d'onde e il lume della luna:
rivelata carne
— «poplin il cielo d'incanto —
mossa a generare l'universo!
EZIO SAINI
SERA NELLA VALLE DEL MÀSINO
Nello “pazio dei colli
tutto inverno il silenzio
del lume dei velieri.
Fredda immagine eterna
navigante. F qui risorge.
Presto la rana cresce il verde,
è foglia; e l’insetto di spine
s’avventa sull'erbe dei canali.
I mulini tentano le ruote,
deserti, all'acqua che si piega.
Non udrò fragore ancora del mare
lungo i lidi dell’infanzia omerica,
il libeccio sull’isole
funebre a luna meridiana,
donne urlare ai morti cantando
dolcezze di giorni nuziali.
E tu come la temi
riappari a volte, e mi deludi
discorde. Basta così poco tempo
per morire da vivi.
Nella veste di colore infantile
inventi il passo d'una spirale
al timpano che imita la notte.
Ma il tuo volto dilegua in tonfi,
in cesure straziate.
Tornano già i prati alla valle'; forte
il lamento del corvo. Che certa
presenza, cara, di vita. Avverto
la sera alle tempie, e l'allarme
è un canto di cupo dialetto.
Nulla rimane della mia giornata.
Mi sorprende immutabile la noia
misericordr a ogni gioia apparsa
e, alle radici, sùbito indurita.
Calma notte superiore,
volontà di consensi,
mi forzerò in cosi stretta misura
d'ingenua sapienza,
in tutto il freddo pietoso
serrato dentro il mio corpo.
Ancora ansiosa d'ombre, e furtiva
e segreta,
per un blando d’olmi fruscio
giunge la sera a questa erbosa soglia.
Amica d'una volta,
certo immutata, o medesima musica
modulata dallo spirante giorno.
|»errhè far trasalire il fanciullo
antico che. inanimata s|»oglia.
in me dorme, quasi
ricordo non più mio. d'estraneo tempo?
Mutato sono, e ombra
siedo inerte fra ombre, attendendo
che rijmso la notte
a un giorno dia d'affaticata vita.
Già nel silenzio palpitante d'astri
voce sol viva è il vento.
Sopra il monte la luna
rorida sboccia rilucendo intorno,
e terra e cielo son tenera valva.
Quiete è sul mondo, e pare
che ogni pena una triste
favola sia. malato, estremo sogno.
Eppure, amica sera,
al tuo leggent arrivo
questa rovente arsura non s'anpiieta;
rode il petto, un tremore
di pianto induce in gola,
cieco strazio che cerca
una voce per dirsi, e non la tntva.
Non sospiro; tacendo.
rumino il mio dolore
rhe i frantumati giorni, acre maceria.
m'han franato sul cuore.
e forse non a«petto rhe te. morte.
Ma prima risentirti, antica musica,
solo per un momento,
col cuore d'una volta.
GIOVANNI TITTA ROSA
NE V E
Neve che turbini in alto ed avvolgi
la rose di un tacito manto,
una creatura di pianto
vedo per te sorridere; un baleno
d'allegrezza che il mesto viso illumini,
e agli occhi miei come un tesoro scopri.
Neve che cadi dall’alto e noi copri,
coprici ancora, all'infinito. Imbianca
'.a città con le case e con le chiese,
il porto con le navi; le distese
dei prati, i mari agghiaccia; della Terra
fa, tu augusta e pudica, un astro spento,
una gran pare di morte. E rhe tale
essa rimanga un tempo interminato,
un lungo volgere d'evi.
Il
risveglio,
pensa il risveglio, noi due soli, in tanto
squallore.
In cielo
gb angeli con le trombe, in cuore acute
dilaceranti nostalgie, ridesti
vaghi ricordi, e piangere d’amore.
SALVATORE QUASIMODO
UMBERTO SABA