

Il giovane riuscì a superare il male... ina pur
troppo rimase invalido e deforme.
Ribotta usci dall'ospedale e ritorno a casa, ap
poggiandosi malamente ad un bastone, sembrava un
vecchio decrepito, camminava curvo come fosst nato
gobbo. Nessuno avrebbe riconosciuto in quella misera
figura, Gianni di una volta.
Purtroppo, egli comprese che tutto per lui era
finito e che il povero storpio, non avrebbe mai po
tuto sposare Margherita, la fanciulla piena di bellez
za e di vigore; non voleva, non poteva incatenarla
a sè, che malgrado tutto voleva bene.
Pensò al suicidio e gli parve Tunica soluzione da
fare, ma nell’atto di compierlo, ebbe paura, non di
morire, ma di osare violenza contro la vita che gli
era stata donata da Dio.
Allora trovò soluzione nella fuga, come fanno i
ladri. Sarebbe tornato in Italia, nella natia Barge.
Gianni fece di nascosto i preparativi per la sua
partenza e la sera prima di mettersi in viaggio,
scrisse una lunga lettera alla sua Margherita, dove
giustificava l’azione che compiva.
Era una chiara notte d’estate, le stelle facevano
l’amore con la luna e la terra incantata guardava
l’idilio.
In quella notte Gianni aveva detto segretamente
addio a tutto ciò che aveva di caro in quel luogo,
dove aveva visto sbocciare la sua felicità e aveva vis
suto le ore più meravigliose della sua vita.
E aveva detto anche segretamente addio a Mar
gherita; ma il suo cuore si ribellava a questo volon
tario abbandono. Come si può strappare cosi un
amore che doveva essere eterno, indissolubile?
Eppure era necessario, per il bene di Margherita.
Il suo sacrificio doveva avere il valore di una
immolazione: soffrire e tacere; amare e tacere, per
chè ella fosse felice!
Quando giunse alla stazione, chiese un biglietto
di terza classe e con passo vacillante, sali sul vagone
e si lasciò cadere di peso sul sedile.
Quando il treno si mise in moto, egli con gli
occhi sbarrati, guardò per l’ultima volta il piccolo
villaggio, già immerso nella notte, dove ancora qual
che flebile lumicino brillava a distanza.
Il treno intanto aveva aumentato di velocità, im
mergendosi nell’oscurità come un mostro favoloso.
Gianni chiuse gli occhi per non vedere, voleva
dare sfogo al suo dolore, ma non ebbe la forza, in
quel silenzio soffocante, il cuore gli ruggiva, come
un leone ferito a morte.
Man mano che si allontanava, aveva la netta sen
sazione che aveva lasciato tutto sè stesso nel piccolo
villaggio: il cuore, la vita, h giovinezza, la (eliciti;
quello che ora fuggiva non era Gianni, ma l’ombra
deforme del giovane Gianni.
Giunse a Torino dopo due giorni di viaggio; era
stanco ed affamato, ma volle proseguire per Barge; de
siderava allontanarsi al più presto dallo sguardo degli
uomini.
Giunto al paese nessuno lo riconobbe, dapprima
10 credettoro un povero mendicante e si stupirono
quando seppero la vera identità.
A Barge. Gianni non aveva nè casa, nè familiari,
i genitori erano morti; aveva solo dei parenti che
non sapevano cosa fame di un uomo invalido.
Trovò abitazione in una specie di grotta, non
profonda, sul versante sinistro della collina bergese.
La grotta sorgeva ai piedi di una roccia, dove
al suo fianco sgorga una sergente d'acqua fresca.
Lassù aveva tutto a portata di mano: un pano
rama magnifico, un bosco folto, animato dal cauto
degli uccelli e l’aria fresca che gli risanava l’anima.
Ai suoi piedi si stendeva, avvolta in un denso
azzurro, la fertile pianura piemontese, nel fondo si
ergeva maestosa, con eleganza, la cupola della
chiesa di Superga.
A pochi chilometri da Barge, nel mezzo al verde,
la Rocca di Cavour spiccava armoniosamente sola;
nei momenti di allegria, Gianni diceva che la Rocca
era un panettone abbandonato là, per caso, dai
bergesi.
La sera, prima di coricarsi, si affacciava sul da
vanzale della grotta e con gli occhi umidi, ammirava
l’aureola di fiamma die avvolgeva il cielo della
grande Torino.
Prima che spuntasse l’alba, Gianni era in piedi,
afferrava il suo vecchio corno, simile a quello die
adoperano per la caccia alla volpe e si metteva a
suonare con tutta la forza dei suoi polmoni, per
svegliare i ferrovieri che dovevano prendere ser
vizio.
Stanco dallo sforzo, l’eremita si sedeva su una
grossa pietra e come un fanciullo estasiato, mirava
i monti vicini e lontani, che nitidi, misteriosi e affa
scinanti. illuminati dal sole nascente, sembravano
avvolti da fiamme di fuoco.
Gianni avrebbe voluto essere un poeta, per de
cantare la bellezza di quello spettacolo; ma egli era
veramente poeta neU’animo; in quel silenzio si faceva
1 segno della croce e muto fissava l’infinito che si
perdeva nelty spazio.
Nella fredda e selvaggia grotta, viveva come un
selvatico, nonostante avesse un’anima, ma la sua
anima era anch'essa arida e desolata. L’unico con
forto era* la preghiera, chi lo ricorda, dice die:
Gianni pregava con gli occhi rivolti al cielo e le
mani giunte, come fanno gli asceti.
Ogni mattina scendeva in città e girava per i
mercati vendendo fiammiferi, oppure andava a la
IO