Table of Contents Table of Contents
Previous Page  14 / 869 Next Page
Information
Show Menu
Previous Page 14 / 869 Next Page
Page Background

Il giovane riuscì a superare il male... ina pur

troppo rimase invalido e deforme.

Ribotta usci dall'ospedale e ritorno a casa, ap­

poggiandosi malamente ad un bastone, sembrava un

vecchio decrepito, camminava curvo come fosst nato

gobbo. Nessuno avrebbe riconosciuto in quella misera

figura, Gianni di una volta.

Purtroppo, egli comprese che tutto per lui era

finito e che il povero storpio, non avrebbe mai po­

tuto sposare Margherita, la fanciulla piena di bellez­

za e di vigore; non voleva, non poteva incatenarla

a sè, che malgrado tutto voleva bene.

Pensò al suicidio e gli parve Tunica soluzione da

fare, ma nell’atto di compierlo, ebbe paura, non di

morire, ma di osare violenza contro la vita che gli

era stata donata da Dio.

Allora trovò soluzione nella fuga, come fanno i

ladri. Sarebbe tornato in Italia, nella natia Barge.

Gianni fece di nascosto i preparativi per la sua

partenza e la sera prima di mettersi in viaggio,

scrisse una lunga lettera alla sua Margherita, dove

giustificava l’azione che compiva.

Era una chiara notte d’estate, le stelle facevano

l’amore con la luna e la terra incantata guardava

l’idilio.

In quella notte Gianni aveva detto segretamente

addio a tutto ciò che aveva di caro in quel luogo,

dove aveva visto sbocciare la sua felicità e aveva vis­

suto le ore più meravigliose della sua vita.

E aveva detto anche segretamente addio a Mar­

gherita; ma il suo cuore si ribellava a questo volon­

tario abbandono. Come si può strappare cosi un

amore che doveva essere eterno, indissolubile?

Eppure era necessario, per il bene di Margherita.

Il suo sacrificio doveva avere il valore di una

immolazione: soffrire e tacere; amare e tacere, per­

chè ella fosse felice!

Quando giunse alla stazione, chiese un biglietto

di terza classe e con passo vacillante, sali sul vagone

e si lasciò cadere di peso sul sedile.

Quando il treno si mise in moto, egli con gli

occhi sbarrati, guardò per l’ultima volta il piccolo

villaggio, già immerso nella notte, dove ancora qual­

che flebile lumicino brillava a distanza.

Il treno intanto aveva aumentato di velocità, im­

mergendosi nell’oscurità come un mostro favoloso.

Gianni chiuse gli occhi per non vedere, voleva

dare sfogo al suo dolore, ma non ebbe la forza, in

quel silenzio soffocante, il cuore gli ruggiva, come

un leone ferito a morte.

Man mano che si allontanava, aveva la netta sen­

sazione che aveva lasciato tutto sè stesso nel piccolo

villaggio: il cuore, la vita, h giovinezza, la (eliciti;

quello che ora fuggiva non era Gianni, ma l’ombra

deforme del giovane Gianni.

Giunse a Torino dopo due giorni di viaggio; era

stanco ed affamato, ma volle proseguire per Barge; de­

siderava allontanarsi al più presto dallo sguardo degli

uomini.

Giunto al paese nessuno lo riconobbe, dapprima

10 credettoro un povero mendicante e si stupirono

quando seppero la vera identità.

A Barge. Gianni non aveva nè casa, nè familiari,

i genitori erano morti; aveva solo dei parenti che

non sapevano cosa fame di un uomo invalido.

Trovò abitazione in una specie di grotta, non

profonda, sul versante sinistro della collina bergese.

La grotta sorgeva ai piedi di una roccia, dove

al suo fianco sgorga una sergente d'acqua fresca.

Lassù aveva tutto a portata di mano: un pano­

rama magnifico, un bosco folto, animato dal cauto

degli uccelli e l’aria fresca che gli risanava l’anima.

Ai suoi piedi si stendeva, avvolta in un denso

azzurro, la fertile pianura piemontese, nel fondo si

ergeva maestosa, con eleganza, la cupola della

chiesa di Superga.

A pochi chilometri da Barge, nel mezzo al verde,

la Rocca di Cavour spiccava armoniosamente sola;

nei momenti di allegria, Gianni diceva che la Rocca

era un panettone abbandonato là, per caso, dai

bergesi.

La sera, prima di coricarsi, si affacciava sul da­

vanzale della grotta e con gli occhi umidi, ammirava

l’aureola di fiamma die avvolgeva il cielo della

grande Torino.

Prima che spuntasse l’alba, Gianni era in piedi,

afferrava il suo vecchio corno, simile a quello die

adoperano per la caccia alla volpe e si metteva a

suonare con tutta la forza dei suoi polmoni, per

svegliare i ferrovieri che dovevano prendere ser­

vizio.

Stanco dallo sforzo, l’eremita si sedeva su una

grossa pietra e come un fanciullo estasiato, mirava

i monti vicini e lontani, che nitidi, misteriosi e affa­

scinanti. illuminati dal sole nascente, sembravano

avvolti da fiamme di fuoco.

Gianni avrebbe voluto essere un poeta, per de­

cantare la bellezza di quello spettacolo; ma egli era

veramente poeta neU’animo; in quel silenzio si faceva

1 segno della croce e muto fissava l’infinito che si

perdeva nelty spazio.

Nella fredda e selvaggia grotta, viveva come un

selvatico, nonostante avesse un’anima, ma la sua

anima era anch'essa arida e desolata. L’unico con­

forto era* la preghiera, chi lo ricorda, dice die:

Gianni pregava con gli occhi rivolti al cielo e le

mani giunte, come fanno gli asceti.

Ogni mattina scendeva in città e girava per i

mercati vendendo fiammiferi, oppure andava a la­

IO