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un’arte figurativa che non sia un elogio, ma il frutto

di un’indagine o la rappresentazione relativa a pre­

supposti concettuali che trascendono la realtà ordi­

naria, è assogettata non soltanto a coerenze strut­

turali. in quanto nessuno ci assicura dal dubbio che

si risolva in una vana fantasticheria. Di recente il

filosofo Nicola Abbagnano, in un articolo apparso su

Epoca (2), ha definito il linguaggio la funzione uma­

na della formazione e dell’uso dei simboli e che « il

simbolo sta con l’oggetto simbolizzato in un rappor­

to che non è univoco o tale da non poter essere al­

tro, ma che è condizionato

a\ì’atteggiamento

della

persona che l'adopera ed è quindi soggetto alla pos­

sibilità della scelta e a variazioni incessanti ». — Ma

questa libertà dell’uomo di variare indefinitamente

il rapporto tra linguaggio e realtà, nell’arte figura­

tiva. subisce fatalmente delle limitazioni che non

sono costanti, ma variano da epoca a epoca e sono

imposte dai limiti culturali, e quindi dalle esigenze

spirituali, dei contemporanei. Inoltre, fatalmente, i

simboli sono destinati* a costituire un alfabeto per

consentire una comoda lettura. Un segno che nasce

per rappresentare un’immagine finisce sempre per

diventare una lettera (3). Cosi come accadde alla

simbologia egiziana che passando dalla rappresen­

tazione di imagini elementari di cose concrete a

quella di pensieri astratti, quindi non suscettibili di

una rappresentazione grafica diretta, fece ricorso a

segni fonetici, il cui valore dipendeva dal suono con

cui venivano pronunciati e non più dall'oggetto che

rappresentavano, avendo con questo soltanto una re­

lazione convenzionale, quindi a segni

ideografia,

rappresentanti il suono di un’intera parola e ricordan­

do con la loro figura il significato stesso della pa­

rola, e a segni

determinativi

o simboli accessori che

facilitavano l’interpretazione delle parole. Inoltre è

necessario tener conto del fatto che la creazione di

un'opera d’arte figurativa segue, nella sua elabora­

zione, due fasi; la prima d’ordine concettuale, co­

mune a tutte le arti, la seconda d’ordine materiale

e fatalmente inserita nel complesso delle leggi fìsiche.

Ho già detto in altra occasione che nell’arte figu­

rativa. a differenza di quanto succede in musica e in

poesia,

è

il modo di organizzare la materia che con­

ta, cioè la statua o il quadro, con le loro dimensioni.

In pittura l’opera

è

nei segni, sta soprattutto nell’or-

ganizzata armonia delle linee e dei colori che ces­

sano di essere simboli e diventano realtà. L’inten­

sità di un sentimento che la poesia e la musica espri­

mono non scaturisce dai caratteri della scrittura usata

per fermarlo su di un pezzo di carta, mentre in pit­

tura l’idea deve diventare oggetto per entrare nello

spazio e occupare una precisa e determinata porzio­

ne del mondo fisico. Per stare all’esempio citato dal-

l’Abbagnano circa la significazione diversa die si può

dare all’oggetto <• acqua » a seconda dei nostri biso­

gni e delle nostre esigenze, si ha un riferimento uni­

voco proprio mediante il simbolo H 2 0 stabilito dalla

chimica, per cui l’acqua cessa di essere elemento e

diventa « oggetto », assume una forma, diventa sim­

bolo al punto che la sua lettura è resa accessibile a

tutti i popoli e in tutte le lingue. Difatti agli asse­

tati in un deserto se il miraggio apparisse nella for­

ma H 2 0 invece che sotto quella di un’oasi con una

sorgente, essi non avrebbero dubbi circa il genere

di refrigerio al quale aspirano.

La libertà sta dunque soltanto nel campo concet­

tuale, quindi nella scelta dei suoni e delle analogie,

ma bisogna distinguere fra simbolo grafico e sim­

bolo fonetico. Noi possiamo cambiare sempre nome

alle cose d’ordine comune chiamando, per conven­

zione, una sedia cavallo, una ciotola lago, un soldato

fiore, ma per rendere intelligibili queste trasposi­

zioni è necessario — se traccio le sagome degli og­

getti dianzi nominati su una superficie — creare un

cifrario, diversamente la sedia rimane sedia e il ca­

vallo resta cavallo.

Una pittura assoluta, trascendente, se non può

esprimersi in modo veramente immediato con la ri-

produzione grafica degli oggetti deve necessaria­

mente far ricorso a dei simboli o a delle analogie

mediante enigmi. Si pensi che i geroglifici egiziani

presi tutti dalla sfera visibile della realtà e da quella

invisibile della fantasia, ammontano — secondo il

Meyer — a circa 4000.

« Chi vuol rendersi conto se davvero ha capito

una parola, scrive Ludovico Geymonat (4), non guar­

da in sè, al suo processo psichico, ma pone a se stes­

so alcune prove per l’uso di questa parola, é in base

ad esse e solo in base ad esse decide se davvero l’ha

capita o no ». « Uno stato sentimentale esiste certo

in ciascuno di noi, ma come qualcosa di contingente

e incomunicabile, che non va per nessun modo con­

fuso col nostro pensiero: questo pensiero è la parola,

intesa non nella sua meccanicità sonora o scritta, ma

come complesso delle regole die ne stabiliscono l’uso

corretto ».

Ora, il complesso delle regole che stabiliscono lo

uso corretto della parola è un patrimonio atavico che

ci portiamo dietro dalla nascita, che possiamo sempre

arricchire, ma che in ogni caso ci consente di espri­

merci e soprattutto di stabilire colloqui, relazioni, e

una reciprocità che è fondamentale nei rapporti con

i nostri simili.

Inoltre si consideri die il linguaggio figurativo

tradizionale, frantumato del tutto in questi ultimi

cinquantanni, non è il frutto di un’invenzione e non

risponde soltanto a uno sforzo di imitazione, ma ri­

sponde a uno spontaneo adattamento del nostro es­

sere nella realtà fisica naturale, cosi come per spe­

gnere la sete beviamo l’acqua e per saziarci ingur­

gitiamo commestibili. Staccandoci dalle forme sug­

gerite daQ’armcmia naturale, noi rompiamo quella

reciprocità

6

ui ho accennato prima, e risdiiamo di

abbandonarci a incomprensibili e inutili soliVqu»

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Epocà

— Novembre ig jj No. 109

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Ludovico C ttm o n a t —

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—Torino

1945