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e Biasi feci' il biglietto « per il continente » conqui­

stando presto le ambitissime pagine del

L i Lettura.

Erano quelli 1 tempi in cui un chiassoso gruppo di

artisti toscani, da Enrico Sacchetti a Umberti» Bru-

nelleschi, Lionetto Cappiello, Ardengo Sortici (che

andava a fare tl caricaturista a

Ix Rirc)

affastellava

pacchi e valigie sul treno Santa Maria Novell.i-Mi>-

dane-l’arigi. Il gruppo dei sardi, silenziosi», veleggiava

verso Torino con qualche bottiglia di «vernaccia» e

qualche pacco di « piricchittus ». Due movimenti arti­

stici che si compcnctravano, si completavano, plasma­

vano carne sullo scheletro non più litografato del

nuovo umorismo italiano. Si possono ravvicinare, in

ampie volute critiche. Sacchetti e Tarquinio Siili per

la similarità del loro tratto arioso e nervoso: Cup-

picllo, creatore del nuovo cartcllonismo che gira gira

torna ancora a Lui. e il claudicante Gigino Caldan-

zano: il floreale willettiano Umberto Brunclleschi ed

il tremolante Mario Mossa de Murtas.

Pasquino

era allora, come sempre, il trampolino di

lancio della caricatura italiana. Costituiva per i dise­

gnatori, l'equivalente de « A la Scala » per i cantanti.

Aveva già superato il mezzo secolo, e li» portava be­

nissimo. Si era insediato in quella via Ospedale (la

via che detiene il record del mutamento di nomi) che

tu un po' la Fleet Street di Torino. Vi era

Pasquino,

vi nacque

Sumero

nella Tipografia di Bona. Vi risie­

dettero

Torino Ridi

e

II Due di Coppe:

vi ebbero la

redazione

II Fischietto

c

L i Luna,

che doveva rivelare

a se stesso il grande Caramba, ’/

Birichin

ed altri gior­

nali più o meno effimeri.

Pasquino

era stato acquistato da poco tempi», dal

Marchese Emilio Incisa di Camcrana (uno dei due

Incisa del

Pasquino.

L’altro, Gigi di Santo Stefano

Belbo. divise col sottoscritto le peripezie di un

Pa­

squino

vigilato speciale dal fascismo), gentiluomo me­

cenate che morì a soli 34 anni nell'aprile del 1913.

Incisa ne aveva affidato la direzione a Giovanni Dro-

vetti, l’ ultimo superstite della poetica bohème tori­

nese. di quella bohème che immortalò la Torino di

Caniasio e Oxilia, di Gozzano e la Gugliclminetri, del

povero Nino Caitni e di Pastonchi, bohème pigmcti-

tata dalla diabolica troupe di

Pasquino,

la quale tra­

boccava dai camerini delle balleronzole, non ancora

girls — usi» lanciato da Caramba topo di camerino —

al « Molmari ». O, al più

modesto

Caffè Cavour. Dove

le « stelhssime » si satollavano di caffè c ciòcólata!

Giovanni Drovctti, col suo fiuti» acutissimo, indi­

viduò subito 111 Tarquinio Siili, in quel suo tratto

arioso e nervoso che si collocava di prepotenza tra

Enrico Sacchetti, ormai Paris-Bucnos Aires, ed Ugo

Valeri — il quale si preparava malinconicamente a

chiudere la sua brillantissima carriera con un epilogo

tragico, — uno dei migliori

atout

del nuovo umorismi»

che si andava svincolando dalla pietra litografica.

La caricatura italiana era allora quasi esclusivamente

caricatura politica e si altalenava tra due poh: il Papa

e Giolito. La tiara e il palamidone. La caricatura non

politica, che vivacchiava a fianco e fu dinamizzata ap­

punto da Manca, Golia e Siili, era concentrata tutta

sui riccioli scarmigliati di Mascagni e sul cranio pas­

sato a cartavetro di d ’ Annunzio.

La prima tavola che Tarquinio Siili pubblicò su

Pasquino,

agosto 1910, fu fatalmente una satira contri»

Bepi che si faceva trainare dal famoso Segretario Mery

de Val, uomo dal cipiglio loyolesco. Satira dall'incon­

fondibile sapore ratalanghiuno. Poiché le bordate con­

tro il Vaticano erano allora comandate dal potentis­

simo

Asino,

davanti al quale tremava tutta Roma pa­

palina.

In brevissimo tempo, Tarquinio Siili, piovuto a

Torino col pretesto di iscriversi all’ Accademia Alber­

ti'Annunzio

tina (ma col programma segreto di dedicarsi al gior­

nalismo umoristico) si sotìcrmòju

Pasquino

di cui di-

venne violino di spalla e spesso anche solista. Sarà

bene notare che i giornali umoristici allora non erano

frutti», come oggi, di una collaborazione varia; ma

erano l’espressione di un unico disegnatore.

Pasquino

ebbe la dittatura Tcja, e quindi il periodo Dalsam,

Manca, Sini, Golia, ecc.; come

Fischietto

ebbe l’era

Marietti c quella Caronte. I giornali insomma

'

erano

individualisti e non Incora collettivizzati. Quando Smi

capitò a

Pasquino,

il famoso settimanale, attraversava

uno dei suoi momenti migliori: le tavole di Filiberto

Scarpelli e di Nasica (Augusto Majaiu) si alternavano

a quelle di Giovannino Manca e di Carbon. Scalarmi,

appena rientrato dall’esilio, aveva risfodcrato la sua

fornudabile matita e Petrclla da Bologna si faceva le

ossa. Si accampava nella redazione di via deU’Ospcdale

U fiore della caricatura italiana.

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