

Ma lo stilo spigliato, rapido, efficacissimo, dotato
di una inconfondibile eleganza di Sini era assai più
adatto ad illustrare la Donna che Palamidoni o Rosse
sottane cardinalizie. La Donna era allora un digest di
pariginismo e di italianità distillato a Torino come la
Teofilo Rossi
grappa del gennepì. Ed appunto come la grappa del
getmepì, lasciava la bocca fresca c profumata, scaldava
il cuore e dava ali al cervello.
Giovaiuiino Manca aveva già adocchiato « il tipo »
D Contiti: Bocca, Presidente dei Commercianti
e lanciato al
Frigidarium
la famosa Mostra Intemazio
nale di Caricatura tenutasi al Castello di Rivoli, nel
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, le sue indimenticabili tavole di studenti e sar
tine nel Valentino, le caricature delle prime timide
divette fatalone del balbettante cinema torinese il
quale doveva insegnare al mondo l’arte di macinare
pellicole. E poi entrare in catalessi. Le donnine erano
un po’ Dorine e un po’ indiavolate Emme Sanfio-
renzo o Ise Bluette. Guido da Verona impastava la
sua Mimi Bluette con farina franco-italiana. Creature
che sembravano illustrare i sogni di Camasio e Oxilia
come Doubout penetra, quattro secoli e mezzo dopo,
i sogni della serena digestione di Rabelais.
Sini lasciò l’Albertina il cui preside, onestamente,
davanti al suo successo di caricaturista, gli consigliò
di abbandonare la pittura e di tuffarsi ad angelo nel
l'umorismo. Frattanto, al « Frigidarium » fu concepito
Sumero
che ebbe una lunghissima e laboriosa incuba
zione. Vide la luce soltanto tre anni dopo, nel 1914
e col N . 2, cd ebbe a levatrici Gozzano, Pitigrilli,
Golia e Nino Caimi, il grande giornalista dimenticato
da troppi che, come Ugo Valeri, si è precipitato dal
balcone della sua casa a Milano. Il nuovo periodico
umoristico usciva con una formula, cd un formato,
nuovi. Tra i suoi collaboratori, naturalmente, figurava
Tarquinio Sini.
Sini, benché l'affermazione possa apparire aber
rante, era un timido; come *’
' schivi, solitari,
mammolcttc sensibili, sono in genere 1 veri umoristi.
Arrossiva e si turbava, se si parlava di lui; non am
metteva che si potesse lodare, in sua presenza, un suo
lavoro, e faceva deragliare il discorso. Quando fu in
vitato ad esporre alla Mostra del Frigidarium, arrivò
con una manciata delle sue briosissime tavole; ma,
messo in soggezione dal gelo nordico (grande; ma
gelo) di Olaf Gulbransson e dalla violenza rochefor-
tiana di J . L. Forain, riprese i suoi scartafacci e rifiutò
di esporre.
La fiammella di candela per falene di ambo i sesti
era allora, a Torino, il CINEMA che aveva trasfor
mato via Po in una specie di Main Street di una
Hollywood ancora da concepire. Erano i tempi delle
fatalone mute. Sullo schermo. Delle biondone e bene
in carne Diane Karenne e Soava Gallone, delle iper-
sentimentali come Lyda Borelli, il duo Jacobini, o la
pallida Menichelli. Naturalmente, anche Sini fu at
tratto da quel lucignolo acceso e divenne uno dei più
apprezzati cartellonisti per le vicende di
Za la Vie
o
Za la Mort
o del
Vetturale del Motuenisio,
ed uno
dei più efficaci caricaturisti di stelle, non ancora stars.
Tutte le più grandi dive furono trafitte, come multi
colori farfalle, dall’acutissima matita di quello spietato
entomologo della caricatura che, pur carezzando, met
teva a nudo l’anima dei soggetti.
Quando il Moloch bulimico romano risucchiò tra
le infinite altre cose (Desidera altro o vuole il conto ?)
anche il Cinema, Tarquinio Sini fece un pacco di ma
tite e pennelli e si trasferì alla Capitale. Tuttavia, To
rino gli era ormai penetrata nel sangue come una
febbre malarica e le sue donnine trasudavano nostalgia.
Anche se disegnate al Pindo, erano le tote del Valen
tino. Le inconfondibili, indimenticabili tote torinesi.
Creature sentimentali, sospirose, disinteressate (allora.
Bei tempi!) dagli occhi bistrati di sogno con una
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