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Giorgio De Chirico - N.

1

“ Il Cavaliere Baiardo prima della

battaglia di Melegnano „ dip. ad olio tu tela - mis.

70

-

90

cm.

Questi» dissidio tra i suoi ammiratori chr volo-

vano, suo malgrado, sollevarlo in una sfera di magia

0 di sortilegio, si stabilì in verità sin dai primi con­

tatti di De Chirico col movimento letterario di

Breton, il cui manifesto del surrealismo è di dieci

anni posteriore alle prime ojx-re del pittore italiano,

che fu sempre ili un'originalità e chiarezza mentali

eccezionali e, ciò che appariva stranamente assurdo

ai suoi freudiani ammiratori, sempre con i piedi

saldamente piantati sulla terra.

In un saggio su Courbt, apparso in francese

nel 11)24. De Chirico scriveva: « Le sens de la réa-

lité est toujours lié à ime ouvre d 'art. l’ius il est

profonil et plus l’ouvre sera j»oótique et romantique ».

" Dans

Ylliade

le héros et le dieu homériiiue se

tiennent toujours solidement sur les plaches de la

realité ».

<■Dans

YOdyssée,

sous les pieds d ’I ’ lisse errant il

v a toujours la surface solide de quatre planches

goudronnée, les planches de son navire ».

È questa fondamentale disjxtsizione dello spi­

rito pratico, reale, jxisitivo di De Chirico, non mai

smentita, che bisogna tenere presente e in cui è

ila ricercarsi l'origine della sua opjxjsizione al fan­

tastico, al sognato, al favoleggiare di coloro che pure

intendevano esaltarlo prendendo da lui gusto e am­

maestramento, sjx^cie in Francia e in Germania.

Tuttavia, gli spazi simbolici, le ombre solitarie,

1 paesaggi prospettici da incubo, i manichini dalla

testa a uovo, gli strani eroi di una mitologia sognata,

diversa da quella omerica, anche se ripudiati dal

loro autore, restano e sono definitivamente inseriti

in un certo periodo della Storia dell’Arte.

Il ritorno al mestiere di De Chirico non deve

essere stato quindi il frutto di una decisione im­

provvisa. ma sembra abbia seguito una lenta matu­

razione, un antico amore, una vecchia aspirazione,

quasi che, fin dal principio, egli abbia visto nella

Leonardi Trotti - “ Vecchio ponte a C a o r p i„ .

sua stessa opera soltanto l abilità compositiva, l'in­

gegnosità ilei suoi enigmi là dove, altri s'esaltava ai

diversi atteggiamenti della sua personalità, alla v i­

brazione del suo spirito attraverso le novità scon­

certanti e inaudite delle sue invenzioni.

Questo diverso atteggiamento di fronte all'opera

d'arte del suo autore e dei suoi interpreti, è sempre

stato attuale. Si tratta di un conflitto antichissimo

che risale ai contemporanei ilei primo graffito del­

l'uomo paleolitico. Ma |>er De Chirico il fenomeno

s ’è presentato capovolto, (ili interpreti trovavano

dentro la sua pittura metafisica ciò che egli non

credeva di avervi messo, mentre oggi noi non tro­

viamo nella sua pittura vedutistica ciò che egli

ritiene di avervi lasciato.

Abbandonato il suo repertorio fantastico De

Chirico continua a insistere che sono ^li elementi

formali che contano, perciò li ha impreziositi con

1111 colore smaltato, lucido, costantemente encomia­

stico. » Dipingendo — egli scrive nella breve nota

inserita nel catalogo di queste sue ultime opere

io uso un materiale oggi ignoto, che mi permette

di modellare, di sfumare, di dare alle mie opere

1111 ariosità, una preziosità di materia ed una libertà

di esecuzione di cui da quasi 1111 secolo si è |x*rso

jxTsino il ricordo ».

Nessun dubbio sulla bellezza, la fluidità e l'uti­

lità tecnica di tale materiale ignoto ». ignoto jx-rò

j»er minio di dire, che lo stesso De Chirico ne ha

rivelato in parte gli ingredienti, nel suo famoso

" Piccolo trattato di tecnica pittorica ». Ma è vera­

mente la qualità della pittura il lato più interes­

sante di essa?

Si narra che anche Kembrandt |x»sseilesse di

simili pastette resinose e di tenqxTe all'uovo, emul­

sionate con un mezzo che non nomino per non su­

scitare le ire di nessuno, e più delle altre una j^li

consentiva di ottenere quella morbidezza di ti»cco

e quella ricchezza e fluidità d'impasto che sono

caratteristiche nella sua pittura. Molti suoi col­

leglli e gli stessi suoi allievi gli invidiavano questa

sua emulsione e. ad assillarlo più degli altri, era un

suo allievo, tra i meno dotati, al quale disse una

volta, per toglierselo di torno: — Domani ti sve­

lerò il segreto, ma porta con te due bixxette. — Per­

chè due? — chiese stupito l'allievo. K Kembrandt:

Perchè in una metteremo l'emulsione, nell'altra

tu dovrai mettervi il

talento.

11 segreto sta dunque unicamente nel servirsi di

un dato mezzo ti-cnico

a un certa modo,

che l ’arii»-

sità. il senso dello spazio, il diffondersi della luce

nei paesaggi rembrandtiani non si hanno dalla pre-

ziosità del materiale usato, ma dall’uso abilissimo

dei chiari e ifrgli scuri, dei toni caldi e freddi, dello

velature, inoltre dalla freschezza delle tinte e degli

impasti e dalla sapiente stesura di essi. E De Chi­

rico. nonostante le intenzioni che gli fanno onore,

è ben lontano da questo

>•

ben dipingere »: manche­

volezza che in questa sua mi»stra sorprende e rat­

trista. se si considera il passato di questo singo­

lari* artista, il suo lungo uso dei colori, i chilometri

di tela che ha dipinto e la gran quantità di opere

certamente da lui viste e studiate.