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EFFEMERIDI PIEMONTESI

PER IL MESE DI DICEMBRE

di DAVIOC G I OVANN I C R A V E RO

«

Per color dorato, sfumante in

grigio

via eia che

nebbia fasci i pomi d ’autunno, e le castagne seguano

ruva, dal bosco il vecchio Inverno col carro delle Fa­

vole s’appressa, al sonaglio dei gnomi

».

Con questa allegoria, emanante un profumo un

po* shakesperiano Filippo Burzio salutava l’inverno,

suo amico caro che. Demiurgo anch’esso. dominava il

mondo tra sc u ra n d o lo con tocchi di alta magia.

"

Preparavasi una vasta favola, complici e giocondi

elementi. Qttasi fumo filato per comignoli da spani

casolari... or acre, or molle, buona nebbia sviava

indaffarati per arguti meandri, sotto cavi portici im­

bavagliando lampade benpensanti... Nebbioso rinser­

rarsi del mondo ai centri cari; ai lumi onde la notte

di Natale splende, al caldo buio da cui Tessere viene

e lo vigila al nascere Tintimità».

Inverno. Natale: per Burzio l’algida stagione non

fra in certo modo altro che il fantastico p re lu d a della

grande festa cristiana che Egli sentiva e gustava in

tutto il suo fascino indescrivibile, aggirandosi, col

pensiero volto ai lieti giorni dell’infanzia per Porta

Palazzo, al mercato delle muffe, ovvero per Piazza

San Carlo ingombra nell’ultima decade di dicembre,

di baracche e banchetti di biglietti augurali e di tor­

rone che ne sconvolgevano non poco la severa armonia

barocca.

E non avrebbe Egli certo tralasciato una v 'r f n a

ai fastosi Presepi del Monte dei Cannuccini o del-

l’Oratorio dei Filippini, ove immancab»hrente avrrb

he incontrato i volti familiari di Maffeo, recante in

dono la sua brava «

cavagna di masenrpini

- e sopra

tutto Aurelia consorte felice del celebre Celindo. per­

sonaggio molto illustre nella tradizione natalizia pie­

montese. il cui largo favore ponnfore nen subi mai

eclissi, come accadde invece al Re Net»ro Baldas­

sarre. che fu denominato, sul cadere del seco’o scorso

«

MeneHcche

»: irriverenza ouesta particolarmente

riprovevole a Torino che. nel lontano 1183. Ab**

J\more di ospitare le salme dei tre Re Magi, da

Gerusalemme trasportate a Colonia, per esservi inuma­

te.

Al Presepio nostrano

(1) diedero opere di mera­

vigliosa ispirazione non già artigiani, bensi artisti:

Martino Spanzotti, e soprattutto Defendente Ferrari

con la sua «

Adorazione notturna

» dipinta nel 1510.

ed è forse riandando con la mente a questi dipinti

che Guido Cozzano compose per la delizia della no­

stra fanciullezza

« La Notte Santa

» lirica magari poco

« gozzaniana », in cui volle ricreare l’atmosfera i metri

e i colori del canto popolare.

Cozzano, in certo modo rappresenta un’eccezione

nel Parnaso natalizio pedemontano ove soprattutto

la gastronomia di fine d ’anno e la musa assidua e

bonaria, con le ricche imbandigioni, i pingui porcelli,

adorni di rametti d ’agrifoglio dalle rosse bacche, tro­

neggiane nelle vetrine tra vere coi'ane di paperi e di

selvaggina d ’ogni sorta. Non si trattava certo da noi

delle pantagrueliche scorpacciate della Roma papale

di Gioacchino Belli, tuttavia anche i nostri buongustai

celebravano la Natività opulentemente con numerose

portate e con la scrupolosa osservanza di trad'zioni

culinarie consacrate quali il cappone e il dindo:

«

A móni e a va i per pian e per coline,

-

le cioche a

rAn/i Messa ’d mesa neuit; - mentre prófum ch'ai cen

da le cusine

-

a parlò <Tj capón ch’a sAn tost cheuit. -

Sta festa si, pt*antica tradissifin.

-

prima sfa

’n

Cesa, e peui a TarssinAn

e

7

po ter palami Bambin Gesù

-

Tè già nassù

*

commentava Alberto Viriglio con una punta d’ironia

questo bizzarro connubio di sacro e di pagano.

Nei secoli trascorsi, soprattutto, e r e i villaggi, il

giorno della vigilia di Natale era costellato di usanze

o. più esattamente di cerimonie, che anche se In

gran parte estinte, d spiegano come

T

Avvento fosse

la solennità più affascinante p e r tu tti gli sp:rtti di

ogni contrada e di ogni epoca.

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