

ciò nonostante fu necessario affrontare la salita c la
descrizione che ce ne fa il Rucellai è estremamente
interessante, cosicché m i dispiace di esser costretto
a sunteggiarla.
( ìli ambasciatori presero posto su delle sedie a
jjortantina a cui si alternavano sei portatori, mentre
il personale del seguito dovette accontentarsi di mu
letti. « La salita è grandissima per più di due leghe
e in molti luoghi si cammina come su ili una scala,
con grandi precipizi sotto i p iedi, che faceva temere
della sicurezza di cjuc-i marroni (portatori) che vera
mente non mettevano mai il piede in fallo, mutan
ilosi fra di loro con grande leggiadria e destrezza
Quel tratto di strada che ogg i viene chiamata
■ Le Scale >< è indicata dal cronista come •< una salita
per passi di gran terrore non essendo in alcuni luo
ghi la strada più larga di un palmo ». Certo per i
buoni fiorentini quella traversata non dovette essere
una grande delizia specialmente col freddo che
» ghiacciava a ciascuno tutte le membra e in parti
colare il naso e la barba ».
Finalmente però il colle, dove la Reggente teneva
un piccolo presidio, fu raggiunto e iniziata la discesa
colle « ramazze ». Erano queste « ...come piccole
sedie basse di legno, malfatte, fermate sopra due
legni, che per la parte dinanzi alzano le punte a ll’in
sù come le tregge e le slitte, per meglio poter stri
sciare sopra il diaccio: a questi sono adattati due
legni di due braccia lungh i di circa e non troppo
grossi, quali servono per guida tenendoli in mano il
marrone mentre camm ina, ed aggravando or l’uno
or l’altro per sostenere e voltare la ramazza : e quan
do con maggior velocità vuol essere guidato, il pas-
seggero fa porre a ’ suoi piedi stessi il marrone ancor
sedendo e calcando la leve, la fa voltare e la trat
tiene: e ne’ luoghi di gran pendenza, per m eglio
ritenere il corso, usano certe catene di cinque o sei
nodi, o pur certe corone di ritortolo, avvolte in for
ma di ciambella, quale mettono ad una di quelle
punte davanti e venendo a trascinare nella neve, fa
più aspro il camm ino e non corre tanto. Quando poi
si volesse camminare adagio, si fa stare in piedi il
marrone, quale se bene sdrucciola anco egli con i
piedi, senza però muovere i passi trattiene a sua
voglia il passeggero. In queste, dunque, entrati tutti,
si fece con velocità incredibile vicino a quattro miglia
di calata in meno di m ezzo quarto d ’ora, che per
salirla ci vuole vicino a due ore. Il cammino e preci
pitoso «* quasi spaventevole sul principio, avendo al
cune volte a svoltare su la punta di un precipizio ben
fondo; ma essendo assicurati, a poco a poco ne gode
vamo in estremo, per essersi fatto quel giorno u lti
m o di carnevale, bellissimo tempo e sole, ch ’era vaga
cosa il vedere tanto numero di ramazze, che quasi
arrivavano a trenta, in distanza proporzionata l ’una
d a ll’altra, per non si urtare, e camminavano così
quieti, che parevano animate, godendo in estremo di
sim ile vista quelli che erano degli u ltim i, vedendo
già in basso quelli che prima erano partiti ».
Abbiamo voluto riportare integralmente questo
brano del diario del Rucellai perchè anche oggi, si
noti trecento anni dopo, queste
«
ramazze » son in
grande uso presso i nostri montanari, che se ne ser
vono per portare a valle la legna, e la manovra è
tu tt’ora identica e non potrebbe essere m eglio de
scritta di come lo fece il nostro abate, che fra l ’altro
a farsi •< ramazzare » ci prese tanto piacere da farsi
riportare al colle una seconda volta per riprovare la
gioia della discesa.
I cultori degli sports invernali possono ogg i van
tare un antenato di trecento anni e per giunta nato e
cresciuto fra i tepori della bella Firenze.
Non seguiremo ora i nostri viaggiatori per la Sa
voia e la terra di Francia, ma solo rileveremo come
a Lanslebourg vi fiorisse in quei tempi « uno studio
di cento scolari che dai luogh i della Savoia e sino da
Torino ci sono mandati per essere luogo lontano dai
divertimenti e proporzionato per lo studio », e come
a Lione il Granduca di Toscana vi tenesse un con
sole con gius speciale « non solo per la nazione fio
rentina ma per tutta Pitali
" leggere che in
quei tempi di intestine discordie almeno a ll’estero vi
era chi rappresentava, non solo questa o quell'altra
regione, ma tutto il nostro paese, è un gran conforto
ed è un vero peccato che l’abate Rucellai non ce ne
ricordi il nome.
II ritorno in patria degli ambasciatori ebbe luo
g o n d l’estate e di nuovo per il P iemonte, ma per
altra via, e il Rucellai ci ripete la solita storia « bel
lissima campagna distrutta ». Così apparve Monca-
lieri agli ambasciatori e con soli tremila abitanti Asti
e senza abitatori addirittura Felizzano. Con questo
ultimi* triste ricordo il Rucellai ed i suoi compagni
lasciarono il Piemonte.
Ed anche noi lasciamo i viaggiatori al loro cam
m ino , che questo viaggio rievocato non ci ha lasciato
che un senso di sgomento e di desolazione se non ci
fosse dato di pensare che, nonostante tutto, quel pae
se che potè sembrare a metà del 600 sull’orlo della
rovina, m ezzo secolo dopo era già un regno che nella
storia d ’Italia potè contare qualcosa e costituì la base
della grandezza nostra.
SS