PRIMO OTTOC ENTO TORINESE
Da Carlo Felice a Carlo Alberto — La politica e la cultura — Uno sguardo alla città —
Passeggi pubblici — L'illuminazione a olio — Professionisti e pensionati — Vecchia aristocrazia
— Idee, critiche, pregiudizi — Un nobile testamento — Svaghi e conversazioni da salotto
— Il Re e i grissini — Le guardie di palazzo — Serate al « Regio » — Vietato fischiare —
Uno strano sistema per proteggere gli abiti — Le distrazioni d'un ministro — .Etichetta
— L'aborrito baciamano — Corte austera — Le udienze reali.
I
l secondo ventennio del secolo X IX , se si eccet
tuano, nel '21. i moti del marzo-aprile facilmente
repressi, fu per la capitale subalpina un periodo
di quiete incolore o con tenui contrasti: periodo di
raccoglimento per alcuni, di placida rassegnazione
per altri. Lontani ormai i riflessi delle guerre, rin
viati gli immaturi sogni costituzionali, la vita locale
s'appiattiva in una grigia uniformità. (Quanto diverso
il ventennio successivo, quando Torino sarà teatro
del più bel romanzo combinato dalla storia europea
dell'ottocento!).
Allora, ottobre del '21, era tornato da Modena,
per salire sul trono lasciato libero dall'abdicazione
di Vittorio Emanuele I, il fratello di lui, Carlo Felice,
del quale i torinesi d'oggi non si ricordano se non
perchè una vasta e bella piazza, con in mezzo un
grazioso giardino, gli è dedicata; quel Re a cui qualche
contemporaneo, con evidente esagerazione, aveva
voluto mutare il secondo nome, serbandone intatte
la prima e la terza sillaba, dimenticando, dopo tutto,
che le punizioni per ia grave rivolta militare stigma
tizzata pur da Massimo d'Azeglio, si limitavano a due
esecuzioni — quelle del capitano Giacomo Garelli
(Brigata Genova) e del tenente dei carabinieri Gio
vanni Battista Lanteri ( I) — mentre agli altri imputati
s'era lasciato tutto il tempo di allontanarsi, tanto
che si ricorse poi alla formula della « impiccagione
in effigie ». E si noti che l’epiteto di feroce, secondo
taluni, risaliva già a un'epoca precedente, quando
Carlo Felice, governando la Sardegna, ebbe a com
battere con la necessaria severa energia il brigan
taggio che infestava l'isola.
Impropri, a ogni modo, i termini grossi. A giu
stificare il malessere degli spiriti non adattabili c'era
piuttosto nella capitale una tenace avversione a
qualunque cosa, in campo politico, sapesse di novità
e al più cocciuto misoneismo, anche nei rapporti
mondani, s’improntavano le manifestazioni dei ceti
cittadini più rappresentativi.
Di qui la causa che a Torino, in quegli anni, non
arridesse una buona stampa. « Era diventata la città
più noiosa, più insopportabile di tutta Italia ». scri
veva. senza complimenti, il d'Azeglio. affermando di
« non potercisi vedere », ma riconoscendo tuttavia
che vi permanevano « le ottime e sode qualità »
del vecchio Piemonte. E Angelo Brofferio: « Nè la
umiliazione di Novara» (la prima, quella del
'21,
sconfitta dei federati di fronte agli austriaci) « nè le
numerose proscrizioni, nè le carcerazioni valsero a
scuotere i torinesi e a toglier loro il buon umore
per più d'una settimana». Il poligrafo Davide Berto-
lotti, sebbene mitissimo, doveva a sua volta conve
nire che « il soggiorno in Piemonte ai tempi di Carlo
Felice non era troppo piacevole».
Ma lo stesso Brofferio — giudice non sospetto —
in omaggio alla verità si trov' ' x*uito obbligato
ad ammettere che quel Re, il quale forse più del
predecessore impersonava la fase di transizione fra
la Restaurazione e gli albori deH'Indipendenza, asse
condò con saggezza lo sviluppo delle arti, delle
scienze, deH’insegnamento, promovendo benemerite
iniziative e fondando istituzioni che tuttora formano
decoro e vanto di Torino (basterebbe rammentare,
a lui dovuto, il Museo Egiziano e, da lui riorganiz
zata. l'Accademia di Belle Arti), senza contare le
provvidenze finanziarie, le molte opere ond'egli volle
abbellita la città e, gesta notevolissima nel campo
militare, l'attacco a Tripoli, episodio glorioso per la
Marina Sarda, reso possibile dal risoluto atteggia
mento del monarca Sabaudo di fronte al bey di quella
che è oggi la capitale della nostra Colonia mediter
ranea (2).
Merito
non
lieve, quest'ultimo, in un principe
che
« fu tra i pochissimi della sua stirpe i quali non
avessero gusti militari », per dirla coi generale Enrico
Della Rocca (
Ricordi autobiografici d'un veterano,
1807-
1897), «
e
fu l’unico tra i figli di Vittorio Amedeo III
a
non
ottenere mai dal padre alcun comando». Il
che
non gli impedì, cinta la corona, di vestire, ogni
qualvolta si presentava in pubblico, l’uniforme di
generale «
con
l’appendice ». aggiunge il Della Roca.
« d’un cravattone che gli copriva tutto il mento e
gli recideva quasi gli orecchi ».
Quanto al tono della vita torinese durante il suo
regno, occorre aggiungere come anche il d’Azeglio,
con l'equanimità di chi doveva, in eccezionali Gran-