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PRIMO OTTOCENTO TORINESE

l’etichetta nella quale si è come rinchiuso lo trat­

tiene ». Il tenore della sua giornata: « ... Si alza a

quattr'ore di mattina, ascolta la messa, va a visitare

i suoi cavalli, ne monta uno o due in giardino e

ritorna a casa per non più uscirne e andar a dormire

a nove ore». Tutti ricordano come ogni mattina, a

chi gli dava relazione degli affari, Carlo Alberto

solesse chiedere: — Che cosa si dice al « Fiorio »? —

Era il caffè abitualmente frequentato dai nobili. Do­

manda naturale, date queste altre sue consuetudini,

riferite dallo stesso diplomatico: « Il Sovrano si

occupa molto delle questioni del Governo, ma anche

di racconti sulla vita privata de' suoi sudditi, rac­

conti che le persone intime gli fanno con molto suc­

cesso ».

Poi,a poco a poco, egli romperà il cerchio delle tra­

dizioni. Abolito l’uso del baciamano, istituisce le pri­

vate udienze: due ore alla settimana; ammessi tutti i

cittadini; prescritto « l'abito nero con calzoni lunghi,

cravatta bianca, cappello a due punte e piccola spada

al fianco »; ma, anche a non vestire quest’abito, si

passerà ugualmente, solo aspettando un secondo

turno. Precedenza ai ministri, poi le deputazioni, da

ultimo le persone singole. Così regolate, le udienze

s’iniziavano all 'una del pomeriggio, nella sala attigua a

quella del trono. Il Re riceveva in uniforme militare,

in piedi accanto alla finestra, benevolo, dolce nella

voce e nel gesto, affascinante per chiunque loascoltava.

E, attraverso quei colloqui, salivano a lui, non invano,

gli echi delle aspirazioni italiche.

CARLO M ERLIN I

(1) Storia del Piemonte, di A. Brofferio. Editore P. Magnaghi,

Torino. 1850.

(2) Episodio troppo dimenticato, dai più, per non approfittare

di farne cenno. Il bey voleva ripristinare nei confronti delle navi

sarde certi antichi tributi, con aperto dispregio d'un trattato sti­

pulato da diversi anni sotto gli auspici del governo inglese. Corsari

tripolini si dettero tosto a minacciare e disturbare i legni sardo-

piemontesi. Per ordine di Carlo Felice, narra il BroWerio nella

sua citata Storio del Piemonte, furono immediatamente allestite « due

fregate: il Commercio e la Maria Cristina, una corvetta, il Tritone,

e un brigantino: la Nereide, con mandato al capitano di vascello

cavalier Sivori di chiedere al basciì compiuta esecuzione dei trattati ».

Il Sivori era il 25 settembre 1825 dinanzi a Tripoli. Favorita dal

console inglese ebbe subito luogo una prima conferenza tra il coman­

dante sardo e il generale tripolino Hagi Mohamed. Sembrava lecito

sperare un accordo, quando, l'indomani, il basai disconobbe le

intese iniziate. Il Sivori, senza por tempo in mezzo, gli inviò un

ijltimatum con cui concedeva quattro ore, allo spirar delle quali,

se non otteneva le ampie garanzie domandate, avrebbe aperto le

ostilità. Scaduto invano il termine, preparò l'assalto. Il mare agi­

tato impediva di mandar innanzi le fregate. Si dovettero armare e

far avanzare le scialuppe che, al comando del luogotenente cavaliere

Mameli, scortate dal solo brigantino, in piena notte giunsero sotto

le mura del porto, accolte dal fuoco nutrito delle fortificazioni,

ove era stato dato l'allarme.

Incurante dei proiettili, il Mameli affronta arditamente « la

maggior nave nemica », bersagliandola di colpi e impadronen-

dosene dopo una lotta accanita in cui i tripolini pèrdono capitano e

ufficiali: quello ucciso, questi buttati in acqua. Preda alle fiamme

finiscono diversi altri legni del bascià. Forze sarde, discese a terra,

mettevano frattanto in fuga i difensori dell'arsenale.

Il Mameli, coi propri uomini, tornò a bordo, riuscendo a pas­

sare in mezzo alle scariche furiose provenienti dai forti. Il cavaliere

Sivori stava disponendo per un nuovo attacco, allorché, su di un

legno olandese, arrivò il rappresentante britannico, latore di pro­

poste di pace da parte del basciì, che dichiarava di accettare tutte

le richieste del Piemonte. La lezione era stata efficace.

(3) Il ponte Mosca fu costruito nel 1830. L'arco ha 45 metri di

corda e metri 5,50 di saetta. L'ing. Carlo Bernardo Mosca nacque

il 6 novembre 1792 a Occhieppo Superiore (Biella); studiò alla

Scuola Politecnica di Parigi; nel 1816 ebbe l'ufficio d'ingegnere di

seconda classe nel Genio Civile; fu promosso alla prima classe nel '18

e destinato alla provincia di Torino. Ispettore del Genio Civile

dal 1838, da quest'epoca, scrive E. Borbonese (Personaggi e fatti

celebri, ed. G. B. Petrini, Torino, 1878) «venne sempre consultato

in tutti i pubblici lavori eseguiti nei regi Stati ». A lui, fra l'altro,

si deve il disegno per la facciata della basilica dei Ss. Maurizio e

Lazzaro in via Milano. Architetto del Re e senatore del Regno,

mori il 13 luglio 1867.

(4) Anche più tardi, come si legge nelle Memorie della baronessa

Olimpia Savio, raccolte da Raffaello Ricci (Ed. Treves, Milano, 1911),

per una certa categoria del patriziato piemontese « ... perchè pit­

tore, l'Azeglio era un ropin, uno sporcacin, un Don Chisciotte della

politica, ed il Cavour un Sancio Pancia, infatuati entrambi per una

Dulcinea (Italia) tutta d'un pezzo, che non avrebbe esistito mai

che nella loro fantasia ». Ma. aggiungeva la Savio, scrivendo le

proprie Memorie nel 1860, tali sentimenti dovevano attribuirsi a

« una piccola minoranza della nostra aristocrazia ».

(5) Dai Ricordi autobiografici del generale E. Della Rocca; « Si

servivano nei palchi reali i rinfreschi, ma il Re Carlo Felice non li

toccava; prendeva soltanto una tazza di caffè e v’inzuppava pezzetti

di grissini. Anche dopo aver bevuto il caffè, continuava a mangiarne,

pigliandoli a uno a uno per l'estremità e facendoli lestamente scom­

parire entro la sua alta cravatta, come veramente dalla platea sem­

brava agli spettatori ».