PRIMO OTTOCENTO TORINESE
trattenuti dal Commissario fino al pomeriggio del
giorno seguente ».
Lo stesso
Taccuino
offre notizie sull’abito che in
dossavano i frequentatori. Per gli uomini, al Regio,
era rituale il nero con guanti chiari. Non abito da
società, si badi: nei grandi circoli e nelle feste più
scelte — comprese quelle dell'Accademia Filarmo
nica — i giovani, specialmente, sdegnavano il nero
che rischiava di farli confondere con gli stilizzati
camerieri. I più eleganti vestivano perciò «d i panno
azzurro, verde o caffè chiaro, con collare di velluto
dello stesso colore e bottoni dorati a cesello ». I
calzoni finivano stretti alla gamba, chiusi alla caviglia
da bottoncini sopra le calze di seta, quasi all'orlo
delle scarpette di vernice. Una preoccupazione, per
chi doveva recarsi, d’inverno, a un ballo, col cattivo
stato in cui erano le strade e col servizio delle vetture
limitato, in tutta Torino, a pochi sudici
fiacres
che
stazionavano in piazza Castello! Prendersi una car
rozza da nolo costava un occhio. Nelle sere di neve
o pioggia si ricorreva allora a un sistema complicato
e primordiale. « Si usava », leggiamo, « avvolgersi i
piedi e la parte inferiore delle gambe con fogli di
carta piuttosto forte, legata attorno con una funicella
e, pervenuti sotto l'atrio della casa ove aveva luogo
la festa, sciolto quell'involucro si potevano avere le
scarpe e i calzoni sufficientemente puliti ». Chiaro,
no? Ma se non lo vedessimo stampato, scritto da un
testimonio, stenteremmo a crederci.
• • *
Un fugace sguardo
a
Corte. Atmosfera pacata,
serena, paterna, per un certo verso corriva con Carlo
Felice, incapace
— a
pochi mesi dai moti del
'21 —
di serbar rancori e incline
a
leciti svaghi, fra cui,
subito dopo il teatro, venivano per lui i viaggi. Desi
derava vita onestamente piacevole e non gradiva che
gli si parlasse troppo di cose tristi. Al suo fianco era
quel ministro conte Sallier della Torre che svolse
un’attività lunga, varia, spesso preziosa: nel ‘21 aveva
raccolto e guidato tutti i militari rimasti estranei
all’insurrezione, pervenendo a ristabilire ^ a conso
lidare il vecchio regime politico; in seguito sventò
le manovre con cui il Duca di Modena, per avere
sposata una figlia di Vittorio Emanuele I, cercava di
prepararsi la successione a Carlo Felice; restò, per
qualche anno, ministro di questi, poi, nominato Ma
resciallo dell'Esercito, assunse la carica di Governa
tore di Torino. Uomo autorevolissimo, zelante, osti
natamente conservatore, ma, a quanto si racconta,
anche un gran distrattone. Presentatosi un giorno
a Carlo Felice per trattar d'un importante affare,
cercava invano i relativi documenti nella grossa
busta di pelle e non riusciva a levarne che quinterni
bianchi: le carte cercate erano rimaste sulla scri
vania d'Ufficio. Peggio gli capitò una volta che il
Re lo aveva incaricato di spedire un dispaccio urgen
tissimo. consegnandogliene di propria mano il testo.
Il ministro, solenne, assicurò che provvedeva tosto
per la spedizione; ma, uscito dal gabinetto reale, non
trovava più il foglio. Cerca e cerca, di tornare dal
Sovrano a domandarne copia non se la sentiva. Tra
scorsero due settimane, dopo le quali rinvenne il
foglietto nel fondo di una tasca, dove lo aveva riposto
tanto accuratamente da dimenticarvelo.
Le due Corti succedutesi in quel ventennio, sen
sibilmente diverse nel tono, ebbero una comune
caratteristica nell’avversione dei due monarchi per
i rigori del cerimoniale e per i servili omaggi che
entrambi subivano a malincuore. Si vuole che
Carlo Felice non fosse « mai tanto di cattivo umore
come nei giorni del baciamano ». Carlo Alberto, dal
canto suo, n’era stucco e ristucco e non mancava di
dichiararlo, intrattenendosi con Giovan Battista De
Gubernatis, suo archivista segreto, il quale, nelle
proprie
Memorie,
riferisce che il Re, a proposito di
baciamano, disse un mattino, ridendo, di temere
« che qualche energumeno » gli regalasse una volta
o l’altra « una morsicatura ».
Il De Gubernatis, dal 1833 segretario e confidente
del Sovrano Magnanimo,
è
personaggio adesso ingiu
stamente dimenticato, sebbene si tratti d'uno di
quegli ingegni attivissimi e singolarmente versatili
di cui il Piemonte non scarseggiò negli ultimi tre
secoli. Dottore in legge, musicista, poeta, incisore,
pittore, in ciascuno di questi campi si fece apprezzare,
affermandosi principalmente come « paesista » per i
suoi gustosi quadri all’acqu~'~"~ nei quali seppe
raggiungere il valore e l’efficacia rappresentativa dello
Storelli e del Bagetti. L’importante carica presso
Carlo Alberto gliene procurò le preziose quotidiane
confidenze. Le
Memorie
del De Gubernatis conten
gono così una fiorita collezione di giudizi su uomini e
cose pronunziati con tagliente schiettezza dal Re che
non taceva il tedio sopportato a una interminabile
cerimonia, a una orazione troppo enfatica, a uno
spettacolo del Regio mal riuscito, o il proprio disap
punto per le pretese di certuni nel chiedere avanza
menti: pretese che il Sovrano in persona energica
mente «rintuzzava».
In quelle pagine è accennato un episodietto che
nei salotti dovè far le spese d'infiniti commenti. Figu
riamoci che una sera, al ballo di Palazzo Reale, la
marchesa Passalacqua sfoggiava tale acconciatura da
obbligare S. M. la Regina Maria Teresa a mandarle
in fretta una dama per invitarla a coprirsi.
Ma come grave la Corte Albertina sotto il peso
dell'etichettai « Sontuosa nelle grandi occasioni, piut
tosto parsimoniosa nelle usanze ordinarie, un misto
di monacale e di militaresco» registrava Vittorio
Bersezio e, nella sua opera
II Regno di Vittorio Emo
-
miete
II,
riproduce la lettera d'un diplomatico in data
11 marzo 1839, ove il senso di monotonia che incom
beva sulla Reggia torinese è indicato quale motivo
dominante: un’austerìtt spinta all'estremo, da susci
tare la noia. Il Re. scrìveva quell'ambasciatore, t ha
molto più ingegno di coloro che b circondano; vor
rebbe dare un po' più d'animazione alla
sua
vita;
ma