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POESIA DI GUGLIELMO BIANCHI

T

r.i i doni della lettura ili quest’anno, « Sestante »

di Guglielmo Bianchi, (ed. Circuii, Roma, L. IO) è

ivrto uno dei più cari. Forse le ragioni del nostro

unore, più che al valore lirico della poesia del Bianchi,

liallacciano ai motivi sentimentali che consistono nel

pellegrinare continuo e spesso affannoso, in cerca d'ima

qualche

cosa certa a cui appoggiare il canto: « il

tuo vecchio strumento (il sestante) che riposa - in

oblio di velluto - nell»* mani filiali ora rivive »...

Cuore che guarda il sole - il tuo vecchio strumento

enei mio petto ». C’è già nel titolo e nella premessa

iniziale, una volontà di esplorazione. Occorre subito

premettere - a scanso d’eventuali fraintendimenti -

he la poesia del Bianchi, intesa come realizzazione

li espressione lirica, è ancora in un periodo di forma-

rione; in questo senso si spiega quel suo procedere

•u ritmi spesso incompiuti e persino troppo con­

torti e grevi: « però a quella riviera che gorgoglia -

torba ed infida innanzi al nostro piede, - forse è

Mestieri che ci si (liscioglia » - forse qui, certe palesi

cadenze dantesche si presterebbero a richiami non

soltanto di forma, ma mi accontento di sottolinearlo

[agevolmente. Ciò che invece accende ogni verso

suscitandoci neU'anima certe sperdute risonanze in

»ttesa, sono le idee e le sofferenze d’una ricerca

rontinua, d'una sete perennemente insoddisfatta

l'assoluto: «Terra corrusca di desolazione - il destino

ti cerca nel mio cuore - inesplorato - miraggio d'una

tacita paura ». Ed è questo martoriarsi per giungere

» qualche soglia di luce che rende il Bianchi così

ricino alle nostre esperienze ideali. Esse infatti,

raggiunta una certezza, se la vedono poi sfuggire

pome per cagione d’una remota condanna che pesa,

che |M*sa e di cui non è concesso rivelarsi alcun

lignificato sicuro. L’anima allora, si fa senza voce

«1

ogni cosa diviene sfuggente; ci si trova incatenati

Mi ogni apparenza e, della certezza di cui s’era illu­

foriamente sicuri, non è restata che una pausa d’a­

maro. Questa è la beffa al nostro ricercare. Accade

» questo punto, di abbandonarsi disperatamente a

credere nella materia, come nell’unica cosa certa che

incora rimane; poi ci si risolleva, ci si spiega che

cotesto sconclusionato torcersi dello spirito è il frutto

della nostra poca umiltà e della nostra poca fede e

à lascia morire ogni abbandono, senza più echi.

Sei fondo di noi, però, c’è qualcosa che ci grida

come nulla vada smarrito e come ogni durissima de­

lusione nell’ordine spirituale, segni pur sempre una

conquista verso qualcosa che in seguito ai sa di dovere

raggiungere. Ma il conforto è breve. La poesia del

Bianchi, è veramente su questa

gamma

d’improvvise

rivelazioni d’assoluto e di perduti paradisi; ad

ogni

lampeggiamento di certe intuizioni

in cui la coscienza

Pu* potersi

placare in un atto di fede,

fa

catena

■ut buio sema

possibilità di luci; ad ogni

schiarita

sottentra una desolata atmosfera, come nella divina

follia d’Amleto. Ma su questa perenne instabilità

- si tratta d’una scontentezza per ogni posizione

raggiunta, non di contraddizione - le esperienze

del Bianchi, assumono un valore universale; di conse­

guenza, ogni esperienza acquista il suo proprio carat­

tere intimo e, dall’insieme delle esperienze, si va

plasmando il mito della vita di tutti gli uomini i

quali vedono inevitabilmente trasformarsi in ama­

rezza, l’inappagata ansia di pensare e di scoprire.

Il Bianchi infine— ed anche questo inciso è neces­

sario per chiarificare la portata del significato uni­

versale della sua poesia - non si adagia passivamente

su questo dato della propria amarezza, ma la esa­

spera in ironia. Di qui sorge la sua disperata conce­

zione della vita: « si propagano l’onde del dolore, -

acqua morta che s’agita tra rive - profonde di ma­

teria ».

La conclusione ad ogni modo è sempre sopra una

base di negazione: «o linguaggio - cifrario di si­

lenzi contumaci, - nel messaggio del cuore, - le na-

role che dici - sono quelle che taci ». Qui, il signifìi..

è duplice, ma credo che sia più giusto anteporre al

significato amoroso - in verità per via del terzo

verso, persino più attraente - quello con cui si irride

nella realtà, alla saggezza degli uomini che, poggiata

sulla finzione, è una finzione essa stessa, come quella

che accontentandosi tuttavia delle apparenze, su di

esse costruisce le sue impalcature, cioè la sua prigione,

cioè il suo limite. In pura sede artistica i versi, -

specialmente il secondo anche in causa della troppo

peregrina scelta delle parole - sono freddissimi e

d’un certo sapor quasimodiano, ma noi sentiamo

di doverli accogliere lo stesso, sia pure più sul fonda­

mento d’una valutazione metafìsica che estetica;

in questo senso, non ci corre sulle labbra il nome di

Leopardi - sarebbe il primo richiamo, ma non a pro­

posito e neppure onesto - essendo questo pessimismo

del Bianchi, la dolorosa espiazione della sua (persino

troppo esasperata) modernità: « disperato prorompere

del cuore, - a volte il canto spento - e soffocato -

si entusiasma d’un vento - di sùbite memorie, per

finir» - poi nel silenzio - o in pianto »; «

Tu che

l’au­

dacia oltre il periglio abbriva - guadala

[la riviera]

con

voler che non recede: - io rimarrò dolente

sulla riva

•.

Non cito a caso questi versi. Sono - è impossibile

trovare un’altra spiegazione - una confessione di

debolezza.

La

sfiducia nasce da cotesta rinuncia

a muovere

con audacia incontro alla vita; ed il

discorso ritorna

a

confermare ancora le premesse.

Per il Bianchi, ogni azione

trova

la sua sedepiù adatta

nel pensiero e vi si esaurisce. L’atto esterno non

conta e l’attività interiore, l’unica vera e vitale atti­

vità, è nel pensare. 11 difetto maggiore dei moderni,

s’incentra sa qnerto postulato ed i moderni sono

»