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davvero le vittime di questo loro scandagliarsi senza

tregua; (l’arte come pura speculazione). Xt* deriva

un allontanamento del reale, un'evasione dalla vita

stessa, un assoluto predominio della attività intellet­

tuale su quella pratica o manuale e, conseguenza ul­

tima, il pessimismo di cui sopra si discorreva, il

pessimismo del Bianchi, il nostro pessimismo. Nel

nostro caso, si tratta naturalmente di

esperienze

da

cui, - dopo le delusioni inevitabili e salutari - l’anima

prenderà le mosse per qualche ulteriore conquista

d'ordine finalmente stabile. Bisognerà però superare

la confessata debolezza dell’« io rimarrò dolente sulla

riva ». Ma su queste esperienze, su questi dubbi, la

poesia del Bianchi acquista un timbro sincero e dolo­

roso che nella confessione - si è visto - si risolve

indirettamente in una accusa, lasciando nello stesso

tempo aperta una speranza di definitiva conoscenza.

La poesia del Bianchi, anche se di primo acchito

può far pensare ad un Saba per certe sue azzurrità

di pieno canto (« La barca si allontana per la voga -

sulla calma marina, - e il saluto dei cari - l’equipaggio

accompagna e quello arranca - nell'accorata luce della

sera ») o ad un Ungaretti per certi versi fermi sul­

l'infinito (« commemoro i felici giorni mediterranei «>;

« io penso ad altra voce su altri rami »), trova invece

la sua giustificazione in una ambizione di classicità

che invano tenta di occultarsi sotto la maschera

dell’ermetismo. Su questa linea verreblie voglia di

pensare a Quasimodo - e le occasioni non manche­

rebbero, anche se si tratta dei più infelici momenti

del Bianchi. Per conto mio trovo che è più esatto

riferirsi a D'Annunzio, sia per quelle cadenze dan­

tesche che già si sono notate nei versi citati, sia per

l’ampiezza di certe imagini, sia per la musica, la

quale, pur violentata, non à voluto s|>egnersi «lei

tutto. Aggiungo ancora che non si tratta di momenti

staccati, bensì di una successione abbastanza con­

tinua che - scartata l’ipotesi della derivazione - po­

trebbe fare indugiare su una possibile affinità «li

temperamento. Forse qui, si potrebbe trovare il

vero motivo per cui il Bianchi non può essere messo

vicino a nessuno dei poeti di Circoli; la eccezione

per Quasimodo è esclusivamente formulata su riso­

nanze formali, allo stesso modo che, se a proposito

di Ofelia o «li Cippo, si volesse insistere per un riferi­

mento alla poesia «li Angelo Barile, per via «lei tono

elegiaco o della palese ricerca di eleganza espressiva; o

se volendo portare una prova alla sopra notata ambi­

zione classicistica del Bianchi, si volesse parlare del

Foscolo a proposito «li Patroclo che « attende che

la notte lo proclami - eroe, ma d'intorno la sconfitta -

latra lugubre negli accampamenti - e le ternle af­

flosciate sopra i cuori - divette retrocedono allo scampo

e i morti solamente fanno spalto ». In ogni caso, i

riferimenti - esclusi quelli al D ’Annunzio - sarebbero

se non arbitrari, per lo meno inutili. Una buona ra­

gione di questo argomento è poi ancora la sensualità

del Bianchi, una sensualità un po’ cinica e, cosi

ragionata da tentare - ma il tentativo è faciline*

smascherabile - di apparire come un mo«lo di esi

« ... lascia ch'io scorci - con l’ansia del mio desideri

- la tua nudità che palesa - lo scabro «lei virgulto

il pieno d«‘gli orci »; »... figlia di invisibili scalpell

- «*siti sulla soglia - del mistero carnale. - Statua

nostra prima gioia - insegni a noi che siamo ai tu

ginocchi - quell’ansia che ti veste e che ti spogli»

col batter»* degli occhi ». In fondo, ogni grido è stand

«• troppo voluto »*»l alla nostra memoria vien fati

«li fermarsi per analogie non soltanto di suono,

Libro d'Isaotta.

Eppure noi siamo c«*rti che per

Bianchi non si tratta nè di derivazioni nè «li remu

scenze; «igni spiegazione la si trova nel suo tempen

mento «*«1 è di natura psicologica.

; IL

POETA DEL PARADISO TERRESTRE

Mette ancora il conto di fermarsi su una particob

rità propria della poesia «lei Bianchi. Voglio «lire *

un suo qiixto dell'antipoetico ch«* sovente viene a sgreU

lar«* oltr«* ad ogni intensità lirica, anche la steM

raccolta atmosfera «l«‘l cauto. È un jm’ la sua mani

e finisce di diventare gravissimo difetto. Quert

gusto deWantipoetico - e la definizione mi pare ah

bastanza esatta - si manifesta nella scelta di parol

stranissime e non appropriate che ogni tanto

introducono brutalmente n«*l corpo «l’un verso o «l'un

strofa. Si direbbe che il Bianchi si studi di ricer»*!!

«pieste forme, per far acquistare in originalità ali

sua poesia. Non gli si può «lare ragiom*, anche p«-rcfc

il Bianchi in realtà, ottiene l'effetto opposto a quell

che si riprometteva. Ne conseguono infatti pause <

nessuna consistenza liri«*a o d’una meccanicità s»»nr

alcuna efficacia «li poesia: « Il mio assillante sproloqui

- ti parve forse una esasperazione - <l«*lla tua sofi

tuiiine »; » La spiaggia di Lavagna è in catalessi

sotto Varco voltaico della luna -... »: «Nell’orto i

Liguria - il livido «lei cavoli - e la nevrosi «lell’aspi

ragiaia... »; « Nell'impeto del canto, - filtri segreti

una feli«-e osmosi »...

Inoltre si debbono rimproverare al Bianchi cert

sue rigonfie usuali imagini di eccessività barocci

« ... Ritorna [la luce] «lall’orgia notturna - sulla sogli

«lell’orizzonte - e vu«>ta la celeste urna - di stei

spente » - ed alcune imagini «li esclusiva brava

delle quali egli sembra compiacersi in specialissia

limilo: « Bianche vampe di sole sopra il circolo

di noi che stiamo agli orli di una fossa. - Si pensa

gli esercizi dello spirito - attaccato al trapezio «lei

ossa »; in questi ultimi due versi, una vena di surra

Usino non saputa sacrificare, à rotto la stessa serici

ideologica della prima imagine. Ma anche queat

stramberia del Bianchi sembra connaturata al

8

*

spirito, come una suprema irrisione allo stesso cado*

linguaggio; su questa osservazione si può comprenda

meglio il tono polemico della sua poesia, il tono poh

mico del suo stesso atteggiamento spirituale - coi

che altrimenti, rimarrebbero inspiegabili o in tropfl

ombra.

OSCA* SACCHflf

D

opo vari anni h«>riletto integralmente il «Cestello»

«•pera«hemi accompagnò per l'infanzia, mi crebbe

sen

nò tante volte pensieri ancor appena in gemm­

ato, m'additò «niella <«poesia » «die poi doveva dive­

nire l'unica ragione «Iella mia vita.

Avvi«*ne talora ch«* anche gli uomini che hanno

fatti» dellesistenza una cosa astrusa e cupa, anche

ijiielli «Ih* cantano chiuso, che soffrono d'un'amara

es|N>rienza troppo matura, di già, troppo intensa,

abbiano improvvisi «lesiderii «li distensione, di pace

e d'iddio. Così ho riaperto il volume prezutso di

Angiolo Silvio Novaro, il non mortale maestro «lei

Fabbro armoniosi» », delicatissimo poeta « per i pi«*-

•oli . «•ome ha s«-ritto, con «niella imxlestia pura,

tutta sua, sulla copertina «1«*1 «Cestello », «li<i<itt»>

anni fa,

«|Uan«lo lo

pubblicò.

l'omini tristi o scoraggiati, dolorosi giovani amari,

aprit<* con me «jucsta raccidta freschissima, freschis­

sima attraverso gli anni, segno quest»» indubitabile

duna vita intima non fallace, d’un alit«> non spento

«li poesia. Aprite e sc«*gliet«* nel cestello fragrante «li

frutti «*profumi, «li vive e verdi foglie, «li aria chiara e

giovane tanto. La vita che pure si rivela così greve

a noi cotidiani, «‘«•«•o all«*ggcrirsi «l'un tratto, e«,«,o

respirare aperta «* sorri«l<*r«*, «*<•«•<> venir»* incontro i

mesi. 1«* stagioni, liet«* e festanti, «*<•»•<> esseri «Iella

ara.

immutabile, fraterna natura, aprire canti al

cielo e al sole.

Liriche vi sono che vi hanno seguito, uomini affa­

ticati.

fin «la quando, la cartella a tracolla, passavate

per rampi o sfrati»* «l«*s<*rte e nevos»*, <» per affannose

città,

in sulla prima mattina, e p«*r farvi compagnia

a memoria le ripetevate sommessi, lietamente. Li­

riche che avrete fors«* fatto recitare ai vostri tìgli,

con tanti vaghi cari ricor«ìi di troppo lontane ore

serene nei banchi «li vostre irreperibili s«*uole. Versi

che vi possono ess«*re compagni ora come ieri; ora

eom<- ieri fugamlo la vostra solitudine. Sia dato oggi,

ad

1111

(Mieta «he è, ormai ne è più che certo, doloroso,

di apertamente r«*n«lere grazie a questo maestro di

'ita. a «juesto santo Francesco della poesia, giovane

N’ovaro, uomo di pace, Novaro alleviatore di pene.

Non è possibile che un dolce affanno di passate letizie

non vi prenda quando leggete « Il canto «lei gallo »,

oh. dolcissimi»:

Quandi» al poggiolo appaia

l'aurora mattiniera

,

il gallo che su Vaia

dormì In notte nera,

si sveglia e canta:

È qui!

«*ve«let«* quanto mattiniera e fresca, rugiadosa «juesta

novariana inconfondibile aurora, «(uanto canoro il

gallo che esce «lai n«*r«> notturno, quanto chiaro il

suo risveglio, e lieto, e avido «li vivere.

E l'ode il carrettiere,

e inette al mulo i fiocchi,

mette le sonagliere,

e ria con alti schiocchi

perso il .fiammante d).

Tutto Novaro è un continuo risvegliarsi gi«»ioso

«•on un'ansia sempre più intensa «li bellezza e«li amore,

1111

aprir«* occhi riposati «* casti sul mondo meravi­

glioso, uno scoprir»* la grami»* fiaba «lell'esistenza che

l«ldi«» ci ha donat«» e che «lobbiamo saper inten«l»*re

m*l suo giusto valore.

Inconfomlibile p«»eta, l’unico ottimista, l'unico che

penetri nel cuore di tutti, e che, penetratovi, resti

immutabilmente caro e giovane, scompagni esist<

int«*re, generazioni egenerazioni, e sempre per ognuno

sia legato ai momenti più «lolci «Iella vita. L’unico

cui si ritorna «piando si ha bisogno «li pa»1»*, ma <ii

«|U»*lla

intima, che non si confessa a nessuno, che

ci chiudiamo in cuor»* come una affettuosa ricchezza,

un prezioso s«*gr«*to che ci permetta «li sorrùiere nelle

asprezz»*, «li sperare nella sofferenza.

Ha cr»*at«> figur»* e esseri, essemlo riuscito a fissare,

in quelle sue ingenue rime baciate semplicissime »l’un

primitivism«i genuino e«l onesto, figure ed esseri che

interpretami il vero senso «Iella natura; sublime natura

in «juesti suoi v«*rsi casti rivela, prorompono gràia

gioiose di allegria e «li festa, tùiri crescono e ridono

«la ogni parte, il nostro sentiero si trasfigura, la terra

è un paradiso; colori riempiono gli occhi e le anime,

galli, stelle, usignuoli, bimbi, rondini, raggi spade di

sole, lune pacate e gentili, pastorelle, alberi fioriti,

ranocchi sorpresi e ruscelli, mamme care e pensose,

vibrano intorno a noi, riempiono gli anni, scoprono

fiducie non sospettate, alleviano; un desiderio di

restar fanciulli, almeno nell’animo, ci vince e ci fa

migliori.

E tutto illumina una incancellabile fede ferma in

Dio, cui questo poeta ha levato lodi e lodi, con grati­

tudine schietta e gentile, per desiderio di facilitare

agli uomini, fratelli suoi, conoscenza amorosa di

Colui che ci ha fatti, come ha creato il «paradiso

terrestre ».

Cori voglio definire Angiolo Silvio Novaro: il poeta

del paradiso terrestre.