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ilBIENTI E FIGURE »l TORIIO VECCHIA

I

n una edizione di ottimo gusto l’editore torinese Lo­

renzo Rattero ha presentato in questi giorni una nuova

o|MTa di Carlo Merlini « Am bienti e figure di Torino vec­

chia », resosi già ben noto qualche anno fa pubblicando

un altro volume dello stesso genere, « Palazzi e curiosità

storiche torinesi ».

L’ultim o libro del M erlini è veramente di molto inte­

resse, poiché esso presenta in pagine piane, senza pretese

di letteratura ma d’altra parte con buona sobrietà e

••empiicità non sciatta, un quadro vasto e completo di

quella che fu Torino in tempi andati; e

c'è

nel M erlini

un amore per la città vecchia e tradizionale, una

simpatia chiusa e gelosa per i momenti, le figure,

i nomi, i luoghi tipici della passata Torino; amore e

simpatia da cui tutta s’impronta la pittura delicata e

attenta.

fi chiaro che un’opera del genere non poteva astrarsi

dalla storia, la quale spesso è presente e guida le vicende

locali, spesso s’intravede per ceder il posto alle cronache

del tempo, quelle più m inute e meno severe, fornite di

particolari gustosi, poco conosciuti. Si crea così un clim a

(orale che è particolarmente aderente alla realtà di ieri,

in modo che è sempre interessante per qualunque let­

tore rendersi conto del volto della vecchia e gloriosa

città piemontese, che tanta importanza ebbe nello svolgi­

mento della storia della risorgente Italia.

Merlini ha una predilezione per il « colore locale »;

predilezione che qui dà gli sperati risultati, poiché non

si può parlare di Torino di ieri senza far ampia menzione

di quelle manifestazioni tipiche che ebbero vasta eco un

po’ da per tutto, così che il nome di Gianduja — oh nome

caro anche alla nostra infanzia, nome legato a tante

fantasticherie oggi crudamente naufragate e distrutte! —

battè l’ale per tutta la penisola: così che Callianetto fu

parola nota un po’ a tu tti, ed un'immagine bizzarra ne

nacque, di questo paesotto importante per aver dato i

natali alla più tipica maschera italiana.

Quante volte non ritorna alla penna del M erlini la

parola « giocondità », o « svago », o « carnevale », o

« burla », o « festa »; quante volte egli non descrìve al­

legri episodi di una vita serena e fiera e sana. Ciò a dimo­

strazione di un carattere inconfondibile della nostra

g*nte che sempre seppe conservare una sua letizia mode­

rata e saggia, anche nei momenti fortunosi, anche quando

fu mestieri difendere la propria terra dal nemico o lot­

tare per la più alta causa nazionale.

Altro senso del Meriini è quello del ■fiabesco »: dove

può,

ecco egli si abbandona con tatto piacere a fantasti­

care di fate e folletti, di romiti e guerrieri, di satana e di

mendicanti misteriosi, di tesori e prodigi. E molto ci è

gradito questo desiderio del Meriini di dar la parte do­

vuta alla signora fantasia, quella che tanto p#ò e tanto

ha p e lilo sempre sulla nostra gente cara di Piem onte;

gente fertile di fiabe e storie, gente che usa ancor oggi,

forse, riunirsi intorno ai focolari d’inverno o nelle stalle

chiuse e calde, per narrare, tra trasognanti occhi intenti,

favole antiche e lontane, ereditate per intere gene­

razioni.

Non sono trascurati i problemi dell’architettura della

Torino di ieri. Il minuto descrittore di palazzi che fu nel

precedente volume non dimentica se stesso qui. e spesso

Merlini lungamente si sofferma a disegnare vuoi il castello

di R ivo li, vuoi la Sagra di San Michele, vuoi la Palazzina

di Stupinigi. M erlini ha per le costruzioni « storiche », e

tipiche di Torino una simpatia non velata: ama quell’in-

seguirsi nel tempo di stili e forme che se non furono

sempre le più felici ebbero tuttavia una certa loro grazia

non negabile, un senso di equilibrio quasi mai offu­

scato.

Ma M erlini è uomo di cultura, e pur senza mai mostrare

apertamente il suo sorriso, spesso riesce a da

nso

esatto della sua valutazione di persone e cose con una

vena di ironia che è fine e intelligente. Per fare un esempio

a questo proposito vogUamo qui notare il capitolo quanto

mai divertente su « Una strana proposta per collegare i

portici »; qui il M erlini descrive con garbo e signorilità

un episodio piuttosto buffo della vita di due valentuom ini

quali furono Luigi Torelli e Pietro Paleocapa. di cui

premette qualche cenno biografico ad attestarne i m eriti

numerosi e vari, dappoiché, notate, « il progetto che ram-

menteremo non ha proprio nulla di decorativo: nulla

che valga ad aumentare o a consolidare la fama dei

due patrioti, e non si vorrebbe che qualcuno — Dio

scampi! — ne tirasse errate conclusioni per un giudizio

sugli uom ini, il cui nome, ripetiamo, a ben altro si

raccomanda ».

Ciò premesso egli si dà a descrìvere certo arco di ferro,

certe lunghe tettoie che avrebbero dovuto servire a co­

prire Io spazio intentante fra i due suddetti portici; e poi

i caprìcci dei due illustri personaggi, incapponitisi in un

progetto quanto mai bislacco e scontorto; tanto che, an­

nota con qualche arguzia il Meriini, «per vari lustri il

Torelli ci insistè, e anche tornando a Torino nel *77 (la

prima idea in proposito era balenata al Torelli stesso nel

1854!) si dava a far calcoli ». Così quasi in ogni parte il

libro ultimo del Merlini si fa leggere rapidamente, per

certa sua innegabile piacevolezza ed eleganza di disegno

e di linee. Libro che riuscirà particolarmente gradito a

chi oggi non è più giovane e ritrova fra queste pagine

tempi più vicini alla propria giovinezza; ma non inutile

a coloro che desiderino avere notizie documentate ed

attente dei passato glorioso e tipico della cara Torino.

K. S.