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F

o n t a n e

E FOTOGRAFI

di P I E R O B O R E L L O

Piazza Solferino. Un nome legato ad una pagina gloriosa del nostro Risorgimento, un incrocio di arterie pulsanti di vita e di traffico, lo

sbocco di vie solitarie e tranquille, l’inizio di un corso regale.

E nel

centro ideale della piazza, fra il teatro che del grande piemontese porta il nome e l'edificio dove era il ritrovo del buongustai del

secolo scorso, ecco

sorgere, creata dall’arte, l'opera che la munificenza, in ricordo della bontà, donò a Torino.

Giochi di zampilli, argentee sciabolate di liquido stagliantisi vive sullo sfondo di ben modellati bronzi, miriadi di gocce scintillanti

cadenti nella grande coppa di granito, dinamici disegni simmetrici attraverso i quali i secolari ippocastani ricordano, con cronometrica

puntualità, agli uomini l'eterno avvicendarsi delle stagioni.

Nei pressi di quella fontana, in qualsiasi ora del giorno e, talora anche della notte, non riesce difficile trovare i fotografi. Con l'inse­

parabile piccola, nera compagna delle loro ore liete, sono alla ricerca dell'inquadratura nuova o del taglio ardito per tradurre, in armo­

niosa sintesi di luci ed ombre, il particolare che ha colpito la loro sensibilità.

La gente indaffarata passa. Passa senza accorgersi di loro, poveri omini buffamente accovacciati sul basamento o abbarbicati su una

statua, a dimostrazione evidente che l'equilibrio non è un'utopia.

Incuranti di quello che altri possano pensare, essi imperterriti continuano il lavoro nel quale più tardi sarà possibile anche vedere un

po' della loro anima.

Perdigiorno?... Noi Poeti?— forse. Indubbiamente però innamorati di questa vecchia, cara e bella Torino.

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