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alla fredda luce di quest'alloggio di ospiti morti, dopo

la lunga inumazione nella « Valle delle Regine

Meditiamo brevemente sulla mummia ili Imliotep,

capo ili Tebe e Vi/ir sotto Tliutmose, il regnante

1 S-0 anni A.E.V. e appartenente alla XVIII dinastia,

elle pare riposarsi, riposarsi a lungo, degli affanni pro­

vati .1 causa della res publica. in definitivo riposo di

pensionato statale.

A pianterreno sbigottiamo di fronte a Seti Mernep-

tlùh, statua gigante, che tu gigantesco sovrano ap­

partenente alla XIX dinastia e che tenne lo scettro

dal 1222 al 12 17 A.E.V . Il granito gli garantisce il

perenne possesso degli attributi regi che intorniano 1

posteri della sua vissuta regalità. Sul capo porta la

doppia corona egizia, al lato sinistro gli corre, paral­

lela al tianco sino all'altezza dell'ascella, una insegna

del dio Seth. Ci piace d'immaginare — e possiamo tar

credito a questo viso calmo, per nulla terrificante no­

nostante le dimensioni smisurate — che eirli contor-

tasse le sue decisioni di re con l’ispirazione che gli

veniva dal Dio, sulla cui lunga insegna pare sostenersi

come su di una stampella.

All’estremità opposta della sala una poderosa co­

lonna papintorme ci porta, torsi.-, una presenza del

tempio di Iside, lo splendido dell’età tolemaica, e co­

munque testimonianza in più del gusto che, 111 archi­

tettura, avevano gli egizi .1 rappresentare colonne ri­

petenti motivi di fusti vegetali di cui alcuni, alla som­

mità. si aprono 111 capitelli fioriti di colorazione gialla

o verde o azzurra mentre altri rimangono composti

in boccio. Fantasmagorica conferma di questo ci dà

l’ipòstilo del tempio di Aminoti .1 Tebe con le sue

centinaia di colonne fiorite. Se davvero questo esem­

plare papiritorme proviene dal tempio di Iside come

il cartellino indicatore azzarda senza però garantire

l’informazione, noi allora possiamo guardare ad esso

come ad oggetto doppiamente sopravvissuto. Vitto-

rioso infatti dei millenni corroditori, nemmeno perì

nella sua sede primitiva insieme al tempio cui appar­

teneva ed unitamente all’isola che lo ospitava — la

verdeggiante isoletta fluviale di Philae che è poco

lungi da Assuan ed alla quale si giunge da Scellal —

che gli inglesi sacrificarono, ai primi del '900, ad esi­

genze di un più moderno cd efficiente sistema di irri­

gazione, lasciandola gradatamente sommergere dalle

imbrigliate acque del Nilo.

Accanto alla colonna-pianta è una colossale testa

umana scolpita nel granito. I lineamenti sono sotto-

lineati da colorazione appropriata che diffonde ca­

lore epidermico alla scabrosità della pietra.

E la testa di un re: ce lo rivelano le due corone

di Egitto, la bianca e la rossa, che ne consacrano la

fronte. Cerchiamo in quel volto gigantesco un pal­

pito di vita. Ma il viso estatico ci è dinanzi a con­

fonderci con lo sguardo puntato troppo in alto:

sguardo che non scorge, che pare perso nel vuoto,

che non contempla e non sorride; che sta fisso come

fissati sono, rigidi, nella durezza della pietra, tutti gli

altri lineamenti: dalle orecchie che paiono piuttosto

sortite dalla scrupolosa precisione di un compasso che

non dal tormento di irrequiete mani d’artista, al naso

perfetto nell assoluta regolarità della sua linea che non

provoca alcuna sensazione di bellezza, a tutta l’im­

mensa superficie del volto che neppure la tumidità

delle labbra, rese spente dal contorno troppo netto,

riesce a rendere convincente immagine di vita.

Questa, soprattutto, è l’impressione più imme­

diata tornita da queste gigantesche sculture: l’assenza

di vita, l’impossibilità più totale di vedere

111

esse un

qualsiasi dramma: in esse o nella mano che le ha fog­

giate. Non c’è anima, non c’è travaglio, non c’è au­

tentico sesso; 11011 c’è nemmeno bellezza neppure alla

maniera di armonia come la intendevano 1 greci. C ’è,

solo e soltanto, un’assoluta diligenza di riproduzione,

un senso di distensione di tracciato che dà pace ottusa

ai lineamenti. Si prova dinanzi a loro quell’assenza

di giudizio che ci coglie di fronte all'impersonalità di

1111

vegetale quale rappresentante comune del proprio

genere, che vive il suo essere 111.11 sfiorato dal pn>-

blema o dalla necessità o dall'aspirazione di

1111

dover

essere. Ci confermiamo in quest’impressione, nella sala

accanto, ai piedi della lunga serie di divinità che pre­

senziano con la loro mole alla nostra visita ma che

paiono assentarsi con lo sguardo dalla sala, per por­

tarlo fuori dai muri, per fissarlo sul nulla, per sorviv-

lure su ogni cosa o problema o interesse, per dirigerlo

vacuo 111 un universo privo di atmosfera ove tarlo

ristare eternamente. Questa impersonalità, quest’as­

senza di soffio vitale, l’egizio imprime anche nel­

l’opera letteraria. Il pudore, la consuetudine, un’ini­

bizione torse, gli ferma la mano al momento di scri­

vere di sè o di quanto di sì- vorrebbe tar vivere nel

suo personaggio. Non pathos 11011 eroe non catarsis,

non alcunché della grande scuola greca alita nella ste­

sura diligente e particolareggiata del testo letterario

egizio. E quando la voce del cuore sfugge e la mano

ferma nel segno grafico l'impulso indomato, si tratta

di appena un accenno in caso sporadico. Ma se questa

caratteristica è meno appariscente perché meno cono­

sciuta è esso perchè meno accessibile e meno nume­

roso, nella testimonianza della scultura e della pittura

è fatto imponente. E tutte queste deità assise su di

un seggio privo di morbidezze architettoniche che sot­

tolinea — per la positura rigida che a quelle impone —

la irrealtà della loro figura fisica, ci stupiscono meno

per la testa di animale che alcuna di esse reca in mezzo

alle spalle, che non per il corpo che ha anatomia umana

e che denuncia il sessa cui appartiate nella linea del

torso su cui le convessità del seno femminile si spor­

gono maggiormente che non i pettorali, sviluppatis-

sinu, compiaciutamente torniti, del torace maschile.

Per il resto, imperfettibile appare la differenza nel­

l’ampiezza delle spalle, nell’esiguità della cintola, nella

circonferenza del bacino, nella muscolosità levigata

degli arti. Potremmo dire che l’attribuzione dei due

sessi poggia su fattore puramente convczionalc od

IO