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IL MUSEO EGIZIO DI TORINO

d i

N E E R A T O M A S I N E L L I

Questo lo sanno tutti. Dalla quarta ginnasio in poi:

è il secondo per importanza dopo quello del Cairo.

Ma non tutti, forse, sono venuti ad accertarsene,

calcando reverenzialmente il palchetto pavimentante

i piani di questo bell’edificio che ospita e mummie e

viventi : attratti quest’ ultimi dal fascino di queste prime:

avidi quest’ ultimi delle tante e tante storie vissute e

spente e raffioranti nel silenzio tragico e definitivo di

queste prime.

Già molte, molte cose, furono fatte dire al mu­

tismo dei cimeli violentati nella tenebra elettivamente

scelta a riposo della propria vita terminata, a dispregio

di una possibile conoscenza con i proprii posteri —

diretti od indiretti — di, magari, migliaia di anni dopo.

R e potentissimi, dignitari, ricchi, poveri, tutti cer­

carono scampo ad incontri hituri di sè — morti, in­

difesi — con noi (noi o chi prima di noi, nel corso dei

secoli) vivi, curiosi, deduttori.

Rifugiarono la propria salma — in tombe propor­

zionate alle personali possibilità sociali o finanziarie —

nel grembo infuocato della catena libica o nelle sabbie

inghiottenti del deserto, in sepolcreti partoriti dalla

fatica onucida di migliaia di vittime fellah, provvisti

di tutto ciò che, secondo l’ideazione mesopotamica,

sarebbe risultato indispensabile od utile o conforte­

vole al defunto nella sua squallida permanenza presso

la carne rinsecchita, nel suo vagare oppresso fra le pa­

reti dcll’ipògco, nella sua stenta vita solitaria ma tut­

tavia penosamente cosciente, cui era occupazione e

preoccupazione la tutela della propria mummia dal­

l’assalto dei vermi e dall’insidia della putrefazione. Stiv-

cata esistenza che abbisognava, ciononostante, delle vi­

vande — mummificate anch’esse — che la pietà dei

parenti le offriva a sostentamento della pallida ed

opaca sopravvivenza cui andava incontro; insieme ad

esse, un’abbondante razione di olii essenziali rassicu­

rava il defunto dal timore della decomposizione per­

mettendogli di poter supplire, personalmente, ad even­

tuali deficienze degli imbalsamatori.

Tutte queste angosce — del dramma della vita

dopo la morte — ci confidano le iscrizioni gerogli­

fiche e la scenografia, desunta dal

Libro dii morii,

af­

frescate sulle pareti della tomba di re Amenofi II nella

« Valle dei R e » — il gran cimitero che cercò nascon­

dersi nel cuore infuocato della catena libica — dall'ultra

parte del Nilo su cui sorge Tebe.

Che accadeva del cadavere mummificato, non ap­

pena la pietra di chiusura sigillava l’entrata al sepolcro

precludendo l'uscita all’ospite recente ?

Dal corpo, ancor fragrante essenze ed olii nelle

bende tresche, sortiva l’ Aniina in duplice aspetto di

« anima-uccello » a tarsi via libera verso l’Occidetite

— il paese deH’ombra — sbaragliando il percorso dai

demoni ostili che ne tentavano intralcio, aiutata alla

vittoria dalle parole di scongiuri», in precedenza for­

mulate e fissate in affresco sulla parete dalla previdenza

dei parenti, in calce l'immagine dei paventati spiriti

nemici.

Vinta la lotta, l’ Anima — se assolta da ogni colpa

— si rifugiava in Osiride, raggiunto nel suo luogo di

riposo ove il gran Dio Sole di tregua notturna al suo

splendore lasciando libero il cielo al pallido chiarore

della Luna, rivivendo in Lui e. parte di Lui. riappa­

rendo ogni giorno sul mondo — ìmdentificabile par­

ticella solare — sino alla fine dei tempi.

Ma nel cadavere, nel povero cadavere abbando­

nato dal soffio vitale, s’agitava ancora la solitudine di

un superstite barlume di vita, quasi moto d’inerzia

perenne vegetante nell’involucro corporale abbandi»-

nato dall'anima.

Tale il timore dei viventi di allora di incontri, nei

secoli, con sguardi d uomo, talmente paventata la pri>-

tanazione del vivente che potesse attentare alla già

grama vita della salma, da incrudelire, per renderla

ancora più efficace, nell'astuzia del nascondersi.

La catena libica — macabro alveare di cadaveri

assimilati dalle proprie viscere brucianti — con i suoi

fianchi mimetizzanti si prestò, per secoli, alla malizia

del far perdere traccia dell’apertura quadrata e bassa

dei sepolcreti regali.

Contemplando, tuttavia, l’eventualità di indagini

ancor più accurate ed efficaci che non le adottate pre­

cauzioni, ecco la difesa suprema, il tentato omicidio

per la difesa di valore che appariva ancor più sacro

della propria vita: la pace nella propria morte.

E dietro l’entrata dissimulata, e dopo tubi di cor­

ridoi perforati neH’arsura della viva roccia, e dopo

discesa verso il centro della montagna, davanti la ca­

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