

tale segno. Il soggetto dell * Angelo» Billv, clic perso
nifica ritintila essenza della natura lituana con le sue
lotte e le sue reazioni, è di per sè chiarissima e sintetica.
Due elementi di indiscusso valore per il teatro radio-
tonico e che appunto animano e ravvivano il « Billy
Budd » e ben concedono di creare persone psicologi
camente ed intimamente drammatiche, situazioni sce
niche commoventi ed umane.
Egualmente dicasi per
LorJ Inferno
il quale, nella
sua semplicità e sincera evocazione, riesce a sottoli
neare in giusta intonazione: l’amoroso desiderio di
Lord Inferno ansioso di avere la fiorente ed ingenua
Jenni Meere su incitamento di un goffo nancrottolo
in vesti di Cupido; l’idillio agreste dei due amanti
nella tresca mattinata cd il drammatico e moraleg
giante tinaie. Ma non è mia intenzione diffondermi
ncH’esamc del lavoro vincitore del Premio Italia 1952,
definito dagli autori « Commedia Harmonica » cioè,
come disse Orazio Vecchi a proposito del suo
A ufi-
parnaso
del 1 $97, spettacolo « che si mira con la mente,
ov’entra per le orecchie e 11011 per gli occhi ». perchè
ciò non è possibile dopo un’affrettato ascolto radio
fonico che presupporrebbe uno studio attento della
partitura ed un confronto con le varie situazioni del
soggetto, nè sarebbe proprio di questa rivista. Per la
parte tecnica riguardante i problemi sorti e derivati
da lavori musicali c teatrali, specificamente studiati per
la radio, molto si è già scritto c bisognerebbe scendere
in particolari che non intendo per ora trattare c che
d’altronde sono, a parer mio, superflui perché ognuno
può pensarli ed intuirli con un po’ di riflessione.
L’arte come tale è e resta una sola, sia essa fatta in
teatro lirico, in teatro di prosa o messa in onda dagli
auditori. Personalmente quindi non vedo, fino a
quando ulteriori possibilità non saratuio dischiuse dalla
televisione, una vera vita del teatro radiofonico c di
riflessi» di una musica radiogcnica. Radiofonica e tea
trale è quindi tanto un’opera del repertorio classico,
quanto una composizione che si dica espressamente
scritta per i microfoni, necessario c che essa sia con
sona alle esigenze dell’arte. Questo uno dei pregi del
lavoro di Ghedini c la conferma nel fatto che, con
opportune modifiche rese necessarie dalla scena.
Lord
Inferno
sarà tra qualche mese rappresentato in teatro.
Esaurita la presentazione del lavoro ultimo, vediamo
ora come Giorgio Federico Ghedini serva all’arte c
sia di essa ad un tempo sacerdote e neofita.
Il Maestro, nato a Cuneo l’ i i luglio 1892 da fa
miglia di emiliani, si trasferì a Torino all’età di tredici
anni cd ivi rimase sino al ’ 38 quando venne trasferito
.1 Parma. Nella nostra città egli studiò il violoncello
con Samuele Grossi e la composizione con Giovanni
Graverò. Diplomato nell’ 11 a Bologna iniziò subito la
carriera di direttore d’orchestra. Impossibilitato a re
carsi all’estero per la guerra ’ 14-’ 18 fu direttore al
Chiarella, al Vittorio Emanuele e diresse concerti al
Regio. Dal ’ i8 si dedicò aH’insegiiamento dapprima
presso la Scuola Municipale di canto corale e successi
vamente al Liceo Musicale di via Rossini. Da allora
quanti allievi appresero dalla sua voce convincente e
dalla sua profonda cultura i segreti dell’armonia, della
composizione e dell'interpretazione musicale. A capo
della « Brigata del Madrigale », sotto l’egida della « Pro
coltura femminile », concertò cd eseguì antiche mu
siche polifoniche. Nel '38 venne invitato ad assu
mere la scuola di composizione presso il Conserva-
torio di Parma, per passare poi, nel '41 con la mede
sima cattedra a Milano dove dal *51 è direttore.
Ma veniamo ora aU’csamc della sua figura di com
positore, e qui si dica per inciso, che la sua formazione
musicale fu completamente personale, a parte quanto
poterono fare i suoi maestri. Fatto questo che, ove
non si trattasse di un musicista cosciente e sicuro delle
sue intenzioni, avrebbe potuto essere un male coin
cidendo la sua formazione con un periodo in cui non
troppo chiari erano gli orientamenti c le correnti arti
stiche. Ghedini, senza tema di parere rivoluzionario o
dissidente si rifugiò in Wagner che tutto lesse e studiò
dal
Ricnzi
al
Parsijal
ed in lui trovò parte del sollievo
artistico che non gli concedevano le musiche di tanti
compositori della sua epoca. Intuì come pochi, nel
primo ventennio del nostro secolo, il pericolo dell’imi
tazione passiva e decisamente si volse al nuovo anche
se ciò doveva costargli fatica e talvolta incompren
sione. Egli, trovatosi inceppato in un linguaggio mu
sicale non consono alla sua sensibilità, rivolse in pro
fondità l’ osservazione al Settecento c più ancora al
Sci e Cinquecento italiani, dov’è il gerine della mu
sica vocale e di quella strumentale c si propose di rav
vivare tale epoca con le esperienze solo oggi possibili
dopo due secoli. Coa questi intendimenti egli si ac
cinse a porre freno a troppo facili dialettiche, voluta
mente negandosi soluzioni armoniche strettamente le
gate c conscguenti, c tendendo invece a creare, attra
verso una solida costruzione contrappuntistica, nuovi
timbri sonori e nuove atmosfere ricche di espressione
c di colore.
Il primo giudizio della critica il Ghedini l’ebbe a
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