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FRANCESCO DE SANCTIS

A PINEROLO

E D O A R D O P R E D O M E

È noto che dopo il 1849 Torino fu il rifugio di

molti meridionali sfuggiti miracolosamente alla rea­

zione borbonica. Uno dei più illustri profughi fu

Francesco De Sanctis, che dovette allontanarsi da

Napoli, lasciare i suoi allievi dei Corsi liberi di lette­

ratura italiana e cercare lavoro nella metropoli subal­

pina, il solo angolo d'Italia in cui si respirasse aria

di libertà.

I

poveri esuli, dei quali non infrequentemente si

misconoscevano i meriti e le capacità ed ai quali

spesso si rendeva diffìcile trovar lavoro per sbarcare

il lunario, si scambiavano visite e si soccorrevano re­

ciprocamente come potevano.

La incomprensione reciproca tra gli appartenenti

alle diverse regioni, che avrebbero costituita l'Italia

dopo il '59, era uno dei tanti mali derivanti dalla

gretta vita dei molti staterelli discordi e dalla ege­

monia politica dell'Austria che incoraggiava, com e

noto, la disunione e la incomprensione tra gl’italiani.

I

più frequenti scambi culturali e la stessa agevo­

lezza del viaggiare del nostro tempo rendono diffìcile

a noi comprendere gli stati d'animo dei Piemontesi

verso i rifugiati politici delle altre regioni. Si può

dire che dell'antico male del regionalismo ci hanno

potuto in certo modo guarire quella che Cavour di­

ceva « la cura di ferro » (ossia lo sviluppo della rete

ferroviaria della nostra

lunga

penisola) e la diffusione

della cultura nella vita unitaria nazionale. Non deve

tuttavia meravigliare se tra la gente ignorante e gros­

solana sopravvivano campanilismi, regionalismi, le

reciproche antipatie e denigrazioni e quegli astiosi

isolamenti che talvolta si mascherano con l’affettato

culto del folclore o della musa vernacola o del prisco

costume locale per tenersi alla larga dagli intrusi, in

barba alle declamazioni di fratellanza nazionale.

La vita dell’esule era dura dovunque e per i pa­

trioti meridionali le miserie e le umiliazioni erano

solo lenite dalla speranza e dalla fede in un non lon­

tano migliore avvenire che si intravvedeva nella vita

di Torino, ricca di promesse.

Scorrendo alcuni celebri epistolari si riesce in

certo modo a rappresentarsi la vita di quattro insigni

Meridionali vissuti a Torino per qualche tempo dopo

il '49. Essi sono Francesco De Sanctis, Bertando Spa­

venta, Camillo De Meis. Diomede Marvasi.

Tutti vivacchiarono a Torino e soffrivano, non

soltanto per la povertà che fu spesso miseria, ma per

la incomprensione delle loro caj

che non ra­

ramente veniva negato lo spazio nelle Riviste Tori­

nesi a loro pregevoli articoli per fare posto talvolta a

dissertazioni di scrittori mediocri di notorietà limi­

tatamente locale.

Ma i quattro erano giovani, tutti sognatori e for­

midabili lettori, e i loro incontri ed il sognare insieme

ce li mostra talvolta in aspetto di spassosi

bohemiens,

squattrinati e allegri, con qualche burrascosa crisi di

melanconia e di nostalgia, fugata rapidamente dalla

possibilità di pensare e di sognare nella Torino libe­

rale e cavourriana del Decennio...

11 De Sanctis, di cui evidentemente neppure il

sagace Domenico Berti riuscì a comprendere l’alta

dottrina e la genialità, non tenne cattedra per un

folto uditorio e riuscì soltanto a dare qualche lezione

nel Collegio Femminile della signora Elliot per

signorine di buona famiglia e potè arrotondare il

magro stipendio con qualche lezione individuale,

come quelle date alla signorina Virginia Basco (I),

con la quale vi fu un simpatico carteggio raccolto

in volume da Benedetto Croce

(Lettere

a Virginia

,

(1) Diventala pot Contessa Riccardi di Laramca. alla quale dedicò

nel 1875 il racconto dal

Vuggio tirttorje.

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