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midi e despoti fuori); e che i francesi, per paura del

socialismo, avrebbero accettato anche i cosacchi, etc.

etc. Dopo un quarto d'ora di grida, egli rimase nella

sua opinione ed io nella mia. Eccoci a rista di Pine­

rolo. Che leggiadra collina! Ouanto fa bene quella

chiesa antica con quel campanile gotico color mattone

sulla sua cima! E quanto è magnifico il contrasto di

questa collina smaltata di un verde ridente, e popo­

lata di case e di vigneti, con quel monte che si vede

più in là arido, scuro, aspro. E uno dei più bei luo

ghi che io mi abbia visto. Ma dove Camillo? Ca­

millo ci avrebbe detto tante cose: egli che conosce

così bene la storia di questo paese e di queste valli.

Giunto a Pinerolo, il Professore va dalla Bartolomei,

ed io lo aspetto seduto sull'erba innanzi alla casa.

Dopo una buona mezz’ora, scende, e mi dice tutto

trafelato:

Andiamo a pranzo!

Ma che diamine!

mi volete far pranzare alle due e mezzo'* lo ho fatto

colazione due ore e mezzo fa.

Ma io non ne ho

fatto punto ed ho fame.

E qui io ad arrabbiarmi

per avermi detto la bugia in casa mia.

-

Pazienza:

pranziamo dunque.

Andiamo alla Trattoria della

Corona rossa, e domandiamo il pasto di fr.

2

e mez­

zo. Mio caro Camillo, se avessi veduto il Professore,

che gusto! Egli non mangiava, divorava, diluviava a

due ganasce: gli hors d’oeuvre furono distrutti in

men che non si scrive un

i.

Alla fine credevo che il

suo appetito fosse scemato; aveva già mangiato sei

piatti. Ma no; si presenta un pollo arrostito: l ’ha

fatto trinciare dal gorgon, il quale ne fa due parti, e

ne trincia una metà per me. Il Professore dìi di piglio

tutta l'altra metà, e la ingoia. Sapristi! Ed a! dessert

s'inzuppa nel vino e ingoia tutti i biscottini. Abbiam

finito facendo un brindisi a te, caro Camillo: brin­

disi proposto da me; che il Professore pensava più a'

piatti che gli rimanevano ancora da mangiare, che al

nostro universo tutto raccolto in te. Siamo usciti dalla

Trattoria non senza uno sguardo fra il meravigliato

ed il rabbioso del trattore, il quale in quel giorno ci

ha sicuramente

«

rimesso

»

un franco e mezzo di suo

per darci a mangiare. Il Professore ritorna dalla Bar­

tolomei: io tiro al bersaglio otto magnifici colpi di

carabina, passeggio per la via, mi annoio; penso a te,

e desidero la tua compagnia, che ha il raro pregio dt

non farmi annoiar mai. Ritornando a Torino, il Pro­

fessore è stato di buon umore; per la prima volta,

dacché è venuto da Zurigo, egli mi ha parlato con

affetto. R una serata che non dimenticherò mai.

Le due simpatiche lettere ci confermano nella

buona opinione che tutti abbiamo della bellezza del

Pincrolcse, mentre ci dànno ragguagli sul funziona­

mento della linea ferroviaria (treni a vapore, natural­

mente) Torino-Pinerolo. Se non andiamo errati, la

partenza da Torino avvenne a mezzogiorno e il

pranzo ebbe inizio alle due e mezza pomeridiane,

preceduto dalla visita aU'allicva Bartolomei, che durò

mezz'ora; sicché si può giudicare che il treno coprì

i trentotto chilometri in poco più o poco meno di due

ore, che non è una velocità sbalorditiva, ma che tut­

tavia non è di molto infe riore a •

1treno che.

a distanza di quasi un secolo, parte da Pinerolo alle

18,28 e giunge a Torino dopo le 20.

Ci piace di far notare chc, con la voracità del

Professore De Sanctis, due ore di treno in discussioni

con l’amico Marvasi e letture di libri e giornali, i due

commensali consumarono un pranzo che pagarono

Lire 2.50, chc ne valeva quattro allora, e chc ora co­

sterebbe per lo meno duemila, se ci mettessimo a ta­

vola con l'appetito (che era forse fame dopo un lungo

digiuno) del Prof. Francesco De Sanctis. nativo di

Morra Irpina nel Reame di Napoli c Sicilia, cor­

rendo l’Anno 1856...