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Edizione Laterza) nel 1917. centenario della nascita

del De Sanctis.

Più facile riuscì al De Sanctis trovar lavoro

allatto alle possibilità dell'alto suo ingegno e della

vasta cultura rivolgendosi ad amici, che riuscirono

a farlo chiamare in [svizzera. dove insegnò lettera

tura italiana nel Politecnico di Zurigo.

A Zurigo tra il 18% e il 18611 ebbe un foltissimo

uditorio ed allievi ed ammiratori provenienti anche

dalla Germania. Ma poiché egli non si affiatava con

i pur diligenti e assidili discepoli d'oltralpe (abituato

com'era ad insegnare al vibrante uditorio dei giovani

meridionali nel pieno fervore delle nobili idealità

nazionali, che. come sempre, fioriscono soprattutto

nei cuori della gioventù universitaria), veniva a tra

scorrere le vacanze estive ed autunnali a Torino in

attesa degli eventi, che. dopo il 60 e il successo del­

l'impresa garibaldina, gli consentirono di tornare a

Napoli non più borbonica e di diventare (1861) Mi

nistro della Pubblica Istruzione del Regno d'Italia.

Fu in una di queste vacanze che. dopo essersi fer

mato a Stresa (luglio 18^6) nella speranza, delusa, di

incontrarsi col Manzoni, il De Sanctis tornò a To­

rino e. nel settembre venne, in compagnia di Dio

mede Marvasi. in gita di piacere a Pinerolo |

kt

visi­

tare alcune sue predilette allieve e per fare un buon

pranzo alla • Corona grossa

Il resoconto della gita a Pinerolo, con le molto

favorevoli impressioni della città e dei suoi ameni

dintorni è in due lettere che Diomede Marvasi scrisse

all'amico Camillo IX- Mais (medico-poctu-filosofo).

Non è inopportuno ricordare che Diomede Mar\asi

fu, dopo l'Unificazione. il Pubblico Ministero che

svolse l'accusa nel processo intentato all'Ammiraglio

Persano dopo il disastro di L.:.*a (1866).

Ecco le due briose lettere del Marvasi a Camillo

De Meis:

T(tritio,

26

Settembre

( ’56)

Il professore e a Piossasco; l'ono si è rintanato,

ed io soti solo nella mia stanza; non solo in venta,

perche io tt ledo passeggiar per la mia stanza agi

tando per aria il bastone, e ti sento a parlarmi della

I)e Amicis e della Battaglia

(I):

due ideali die ti

ondeggiano così ostinatamente da qualche tempo

a questa parte, ihe parmi vedertele ai canto, un poco

più in la e quasi <ul fondo del quadro. Siamo dunque

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- Molare ilei IH Sàtìctis. nel tem pii

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uniti di spirito, e parliamo, via. parliamo; io e De

Sanctis ci siamo veduti: a guardammo un pezzo co­

me due babbei: finalmente ruppi io il ghiaccio (lui

sarebbe crepato li, guardando con gli occhi spalancati,

anziihe dire una parola).

Ebbene, che cosa fac­

ciamo qui a Torino io e voi? Camillo ci ha lasciato.

I

ogliamo andare a Pinerolo?

Si. debbo fare una

visita alla Bartolomei. Tanto più (soggiuns'io) che

la spesa e cosi piccola cosa.

Guanto?

Trenta

>oldi Ver Dio!...

(

diss'egli), poco davvero: andiamo

dunque. Ache ora si parte? — A mezzodì. — Vestiti,

dunque ed eccomi a dare di piglio a calzoni, ca­

micie, scarpe, eie. con gran furia ed a vestirmi in un

minuto. E voi avete fatto colazione? — Ma sicuro.

— Partiamo. Mi avvicino all'Uffìcio della distri­

buzione, do tre franchi e chiedo due biglietti di se­

conda classe.

Ma s'inganna, signore; ie cinque

franchi. Mi e caduta addosso una tegola. I miei

conti erano sbagliati di grosso, e mi comincia un bat­

tito di ini Rothschild non ha mai avuto il bene di

sentire la poetica veemenza; guardo in faccia il

Professore, quasi cercandovi sopra la impressione mia

stessa; ma m'ingannat. Lo stoico mi disse con la più

grande bonomia di questo mondo:

Ma se lo di­

ceva io, che trenta soldi erano troppo poco, non era

possibile... £ giusto che si paghi di più.

Saliamo

in vagone: il Professore se ne era venuto con tutte le

quattro tasche imbottite di giornali, e per sopracollo

con un libro.

E che diamine volete addottorarvi

giusto adesso? —Stette un poco sopra pensiero, e poi

comincio a dire:

Che grande invenzione e questo

vapore! — Dopo due altre simili generalità, aprì i

giornali e s'ingolfo nella lettura, lo aprii il mio Ben

venuto Celimi, e leggendo e fumando cercai di vin­

cere la noia delle monotone e stupide pianure, e delle

fermate frequentissime, che mi sembrano la diarrea

delle locomotive a vapore.

I l Settembre. - Dopo tre quarti d'ora circa di

questo noioso correre e fermarsi, il Professore ed io ci

siamo accapigliati in una questione politica Egli

desiderava che la malattia di Napoleone III fosse

vera e che crepasse a t più presto, vedendo il giorno

della <ua morte tutta Europa in rivoluzione, etc. etc.

Ed io, povero Sanno Panza! diceva che la sua morte

in questo momenti) potrebbe riuscire funesta; peri he

non vedeva alcuna altra situazione politila migliore,

netta e sicura dopo questa; e che. al contiarin, avea

gran paura d'una situazione peggiore, come Enrico V

o gli Orleanesi (liberali in casa, ed indifferenti, ti

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