

rato contro Verrua prima di aver troncato le comu
nicazioni con Crescentino distruggendo il ponte sul
Po.
Ricorse allora anche il Vèndome ad uno stratta-
gemma ed il 1" marzo del 1705, mentre simulò un
attacco generale a Verrua, lanciò tutte le sue forze
all’attacco della testa di ponte. Sorpresi nel sonno
poca resistenza fecero i nostri e vennero per la mas
sima parte trucidati, mentre il ponte fu distrutto a
colpi di cannone.
Cosi veniva a cessare ogni speranza di soccorrere
Verrua. II Duca Vittorio Amedeo li, minacciato nel
suo campo di Crescentino, si ritirò allora a Chivasso
e la fortezza fu abbandonata alla sua sorte.
La resa in tali condizioni dopo le forti perdite su
bite, ed i sacrifici sopportati durante i lunghi mesi
dell’assedio, sarebbe stata giustificata, ma il barone
d’Alery ben sapeva che combattere bisogna talvolta
anche quando ogni speranza
è
perduta, poiché l’ono
re delle armi richiede anche il sacrificio ideale che.
se non vantaggi materiali consenta, ben di maggiori
frutti morali è fonte per un Esercito e per un popolo.
Invitato alla resa, egli rispose quindi con un pre
ciso rifiuto affermando invece che solo allora inco
minciava la lotta. Ma già i ripari cadevano in rovina,
la fame regnava e diminuiva ogni giorno il numero
dei difensori, ed il 3 aprile fu costretto ad alzare ban
diera bianca.
Gli furono comunicate le condizioni: resa a di
screzione. Rifiutò nuovamente, si ridusse al maschio
del castello, riprese il fuoco e di notte e di giorno
tempestò col fuoco il nemico. Passarono alcuni giorni
e poi il barone d’Alery fece nuovamente trattare per
la resa, fidando die il suo risoluto contegno avesse
fatto venire il nemico a miglior partito, ma gli furono
confermate le stesse condizioni.
Ridotto agli estremi, non potendo più assolutamen
te resistere, il prode soldato si sublimò neU’eroismo;
volendo cedere al nemico non una fortezza ma delle
rovine, fece dare fuoco alle mine, distruggendo le
fortificazioni e alle proteste degli ufficiali francesi a
trattare rispose con intrepida calma di essere deciso
a dar fuoco alle polveri seppellendo se stesso ed i suoi
fra le rovine del forte.
Il 9 aprile 1705, dopo sei mesi di lotta, Verrua
era ceduta ai francesi ma l’eroismo del barone d’Alery
e dei suoi soldati (1) aveva meritato alla guarnigione
l'onore delle armi.
Cosi ebbe .termine questo episodio della guerra
franco-piemontese; per sei mesi il prepotente Vèn
dome aveva dovuto segnare il passo davanti alle de
boli truppe piemontesi che un anno dopo riporta
vano una delle più belle vittorie di cui si vanti l’Eser-
cito del vecchio Piemonte.
Il Duca di Savoia aveva ancora una volta confer
mato il suo personale valore (2) d ie tanta stima gli
meritò dai suoi soldati d ie furono degni di lui nella
tenada e nell’eroismo.
Sulle mura di Verrua il baroiu
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la miccia
in mano, affrontò serenamente il sacrificio, nella buia
galleria Pietro Micca l’anno dopo sublimò con la mor
te il suo eroismo; fra i capi ed i gregari non vi fu
discontinuità di sentire, ben fermo nelle loro coscien
ze il sentimento dell’onor militare, l'ideale di una
morte gloriosa per la Patria sorgente a nuove glorie
ed a immancabili destini.
(1) Durame l’assedio dì Torino al barone d’Alery venne affidato
il comando della cittadella.
(2) Si vuole che i disagi sopportati in questo periodo della
campagna furono la causa per cui gli vennero ancora in giovane
eti tutti i capelli bianchi.