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proprietà rurali se ne aggiunge una terza categoria,

costituita dagli orti-giardini con casette (spesso rag-

gruppati in complessi agricolo-residenziali, ubicati a

ridosso delle zone urbanizzate e all'imbocco delle

valli), generalmente realizzati, tra Otto e Novecen-

to, da persone della piccola borghesia cittadina

emergente, con radici contadine.

Nel periodo di circa due secoli e mezzo che si

riesce a seguire puntualmente e con facilità grazie

alle mappe e ai catasti « figurati », si assiste ad un

diffuso investimento nella terra di capitali o, diret-

tamente, di proprio lavoro. Investivano capitali nelle

« vigne», l'aristocrazia e i vari ceti borghesi cittadini

via via emergenti; investivano direttamente il pro-

prio lavoro ed il gruzzolo racimolato lavorando per

altri, gli operai, i braccianti e gli ex mezzadri che si

« roncavano » e terrazzavano un piccolo podere per

sé e per i figli.

In generale, per quasi tre secoli e con particolare

continuità nel corso del Settecento, l'investimento

nella terra era ritenuto buono e sicuro per diverse

circostanze concomitanti:

- il reddito e la rendita (la quota di reddito spettan-

te al proprietario) delle terre coltivate risultavano

costantemente crescenti, ed in modo accelerato

nella seconda metà del Settecento;

— il costo del denaro, nello stesso periodo, decre-

sceva progressivamente (

3

);

- vi era disponibilità di manodopera abbondante e

a buon mercato.

In particolare, nella collina di Torino, la rendita

della terra coltivata a vigneto cresceva, nel corso del

Settecento, da 1 a 2 volte più della rendita della terra

a colture erbacee (a campo, a prato, cfr. tabella 1). Il

fenomeno era legato alla vicinanza della città in

espansione, alla relativa difficoltà e onerosità dei

trasporti, alle limitazioni e ai dazi sull'importazione

di vino (

4

).

In un tale insieme di circostanze, si comprendo-

no i seguenti aspetti caratteristici dell'evoluzione

sei-settecentesca della strutturazione agricola colli-

nare torinese (punti 3.2.1. e 3.2.2.).

3.2.1. «Vigne»

Gli antichi poderi a colture miste (documentati

dai catasti descrittivi medioevali, cinque e seicente-

schi) vengono riorganizzati e specializzati con note-

voli apporti, sia di capitale, da parte del proprietario

torinese, sia di lavoro, da parte del mezzadro corn-

partecipe. I vigneti vengono estesi progressivamente

nel podere, sfruttando ogni lembo adatto di terra (in

generale, i terreni inclinati in direzione soliva, pur-

ché a quota non eccessivamente alta). In concomi

tanza, le aree a colture erbacee vengono ridotte alle

zone fresche non adatte alla vite, sul fondo delle

conche, nelle valli e nei pendii bacii non eccessiva-

mente scoscesi.

Gli stessi complessi di edifici, «rustici» e «civi-

li», della «vigna» vengono nella quasi totalità riat-

tati o « rinnovati » (ed i civili anche più volte) nel

periodo focalizzato tra Sei e Novecento. In conse-

guenza scompare pressoché ogni traccia palese dei

preesistenti elementi edilizi medioevali.

Il complesso degli edifici della «vigna» viene di

solito ubicato isolato, in posizione centrale o in po-

sizione dominante sulla parte principale del podere.

Nel paesaggio del versante solivo di una valle (per

esempio nel paesaggio colto dal versante opposto),

le masse degli edifici collocati nelle conche o sulle

dorsali secondarie del versante segnano le sequenze,

modulate e relativamente regolari, delle « vigne » del

versante stesso. Nella fig. TC5 tali sequenze e tali

modulazioni sono state evidenziate, in rapporto alla

conformazione orografica del versante, a mezzo del

disegno sintetico ma efficace delle linee di spartiac-

que e di crinale.

Nello stesso periodo, le strade, prevalentemente

consortili, che collegano tali sequenze di « vigne »,

vengono migliorate nel fondo e nel tracciato (

5

).

Tra i diversi scopi e vantaggi, vi è la possibilità

di trasportare e di scambiare agevolmente i prodotti

con la città e con la pianura. In particolare, le casci-

ne di pianura forniscono alla collina prodotti inter-

medi, come il fieno e il letame, «necessario ingras-

so» per l'impianto e la gestione dei vigneti (

6

). Si

ricorda, al proposito, come molte famiglie abbienti

torinesi possedessero ad un tempo la «vigna» di

collina e la « cascina » di pianura.

Ad ogni « vigna » è legato almeno un appezza-

mento di bosco, di solito ubicato nel versante bacio

opposto della valle o nella zona boscosa sommitale.

Il bosco, governato a ceduo e suddiviso in lotti di

taglio, fornisce ogni anno alla «vigna» strame e pali

di castagno per le viti. L'appezzamento di bosco è

però di solito escluso dal regime di mezzadria con

cui viene condotta la «vigna». Alla «vigna» va ogni

anno il solo stretto fabbisogno di legna. Il resto della

legna prodotta viene, dal proprietario, venduta o uti-

lizzata direttamente in città. Va ricordato al proposi-

to, come nel Settecento e nelle prima metà dell'Ot-

tocento, sino alla costruzione delle ferrovie, la legna

da ardere costituisse un combustibile insostituibile

per usi domestici ed industriali, particolarmente caro

sulla piazza di Torino e di altre grandi città (

7

).

Passando infine a considerare globalmente la di-

stribuzione delle «vigne» nelle quattro configura-

zioni ricordate (di fine Seicento, di metà Settecento,

di inizio Ottocento e d'anteguerra), si nota una pro-

gressiva estensione di tali aziende agricole in zone

collinari meno produttive o difficilmente coltivabili

a vite, o in zone precedentemente occupate da bo-

schi. È caratteristica l'espansione delle « vigne» nel-

la seconda metà del Settecento e nell'Ottocento:

- nei pianori e nelle verdi conche subsommitali,

ubicate al limite di altitudine per la coltivazione

produttiva della vite (per esempio, ai piedi della

Maddalena, nelle conche della Viola, del Via-

lardi, del Pian del Lot, del Lottino, della Fonta-

na dei Francesi e della Bertea);

— nelle vallette e sulle dorsali secondarie dei ver-

santi bacii delle valli principali (per esempio,

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