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Struttura e immagine della residenza collinare torinese:

permanenze e trasformazioni

Maria Grazia VINARDI

La collina di Torino ha avuto ed ha mantenuto

sino al nostro secolo caratteri alternativi e contrap-

posti rispetto alla città. Da «Montagna», sito di vi-

gne e di boschi, è divenuta «villeggiatura», prima

per i nobili e la corte e poi per la borghesia; attual-

mente risulta più strettamente connessa alla città e

sede di residenza stabile, secondo un processo inne-

scato con l'espansione della città recente. Essa è

costituita oggi da una vasta area « verde » su cui

risultano emergenti alcuni poli religiosi ed una serie

di edifici residenziali spesso circondati da parchi e

giardini.

L'orografia dei siti conche e poggi in affaccio

sul Po, versanti solivi ed « inversi » nelle medie val-

li, pianori sommitali si riconnette alla parte piana

maggiormente urbanizzata ed alle sponde del Po,

decidendo un ambiente che fu sempre raffigurato e

descritto con grande attenzione come un oggetto

caratterizzato da intrinseca bellezza (

1

). L'immagine

della collina, in realtà, anche nel versante torinese

travalica i confini comunali, sia storici che attuali: il

suo disegno unitario da S. Mauro a Moncalieri, è

oggi in parte frantumato a causa delle diverse nor-

mative urbanistiche locali che risultano maggior-

mente percepibili e separatrici nell'astanza del pae-

saggio.

Queste sue qualità ambientali furono riconosciu-

te ufficialmente nel 1952, data nella quale l'intera

collina fu assoggettata ad un generale vincolo pae-

saggistico da parte della Soprintendenza (

2

). Ciò

nonostante, anche in relazione al piano regolatore

del 1959, questa tutela non fu efficace: una generica

zonizzazione, gli astratti condizionamenti espressi

dai limiti di cubatura dalle norme di regolamento

edilizio e dai confini di proprietà, hanno innescato

infatti processi di nuova edificazione, in molti casi

disattenti al disegno dei siti, concretatisi in fitte lot-

tizzazioni indiscriminate nei fondo valle, negli

«inversi» (

3

); in tutti i luoghi più accessibili della

città. Il fenomeno è chiaramente visibile sui poggi in

affaccio al Po, in Val Salice, in Strada San Vincen-

zo, nelle zone di «inverso» dell'antico territorio di

Cavoretto, lungo le strade di Pino e di Mongreno.

Questi interventi rappresentano inequivocabil-

mente una intrusione nel paesaggio collinare, dove

le stratificazioni storiche avevano consolidato, sino

a metà del nostro secolo, una struttura prevalente a

prati, giardini, parchi e boschi con limitate porzioni

di insediato a ville, casette, villini. I boschi e le aree

sommitali si sono maggiormente conservati perché

protetti — successivamente, (1972), e solo per il

territorio comunale di Torino — da una variante di

piano (

4

) che non preveda residenze per le zone

ad una quota superiore ai quattrocento metri. I ver-

santi solivi delle medie valli (

5

) hanno subito dal

dopoguerra una sostanziale mutazione: si è avuta la

perdita completa delle colture a vite sostituite in

molti casi da prati, gerbidi e giardini legati all'inse-

diamento di nuove ville. Per le zone più vicine alla

città le variazioni

di

immagine risalgono all'inizio

del nostro secolo.

Già nel 1927 Pietro Betta (

6

) osservava la per-

manenza di circa trecento ville di antica origine in-

dicando che molte di esse erano andate irrimedia-

bilmente perdute nella «cieca» attuazione del piano

regolatore, o erano state abbandonate a « barbari

interventi di riadattamento moderno. Egli si riferiva

appunto al Piano Regolatore edilizio e di amplia-

mento della zona collinare della città di Torino del

1913 (divenuto D.L. nel 1918 e regolamentato dalle

norme tecniche nel 1919) (

7

). Riferito in una prima

fase solo alle zone entro cinta daziaria, esso era stato

esteso nel 1922 (

8

) anche alle aree superiori alla

quota di 235 m.

Il piano prevedeva sostanzialmente una nuova e

più comoda viabilità collinare essenzialmente in

funzione veicolare (

9

) ma anche con percorsi pedo-

nali, solo in parte realizzata in periodo fascista con

la creazione di viale Seneca, di viale Catone e viale

del Littorio (oggi XXV Aprile) e la creazione di

punti panoramici con belvedere. Sempre agli anni

Trenta si deve la formazione del parco della Ri-

membranza sul colle della Maddalena, istituito nel

1928 in occasione del decennale della Vittoria.

Tuttavia nel suo complesso il piano, che era sta-

to parzialmente anticipato già nel 1901 con le nor-

mative per le strade di Val Salice e di Val S. Marti-

no, interessò solo marginalmente le zone al difuori

della cinta daziaria: si costruirono una serie di ville,

villini e casette quasi sempre concentrate lungo i

percorsi e nei fondo valle, nelle zone limitrofe ai

borghi di Cavoretto, di Reaglie, di Mongreno e Su-

perga.

Nel frattempo, già negli anni Venti, il dibattito

sulla collina era indirizzato al riconoscimento del

suo prevalente ruolo di area verde per la città, di

luogo per lo svago, e si auspicava il potenziamento

della sua percorribilità con la creazione di « viali

aperti », allacciati da ogni parte alla « città» in modo

che vi portassero da « ogni punto la folla domenica-

le » (

10

); intendendo comunque la collina « altro

rispetto alla città.

Al di là del riconoscimento della bellezza dei

luoghi con valenze ambientali e naturalistiche pro-

prie, la collina nella sua totalità (boschi, coltivi e

costruito), ha svolto nella sua storia ruoli vari e dif-

ferenti ed è andata stratificandosi nel suo ambiente e

nelle sue architetture consolidando una immagine

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