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conca o di poggio, non disturbati dalle presenze in-

combenti di altre case, le quali, in realtà, potevano

risultare anche molto vicine, soprattutto nella zona

prossima alla città (fig. CC9).

Spesso, in analogia con i modelli aulici delle

ville e delle « vigne » principesche, all'insieme dei

locali principali di soggiorno e di ricevimento veni-

va conferito il valore di nucleo compositivo della

casa e del giardino (cfr. I saggi di C. ROGGERO e di

M.G. VINARDI).

Al nucleo veniva fatto convergere, in modo di-

retto, o in modo indiretto, a seconda dei casi, il

percorso rappresentativo di accesso, generalmente

costituito, come si è visto, da un viale con semplice

o con doppia fila di alberi di specie utili e decorative

ad un tempo (come olmi, querce, noci).

Dal nucleo venivano fatti dipartire gli stradini

solcanti il ripiano del giardino e l'eventuale percorso

della «passeggiata», costituito da un viale o da un

pergolato che si spingeva nella campagna oltre il

giardino in direzione di un elemento polare seconda-

rio, costituito, a seconda dei casi, da un belvedere,

da un «rondò» di alberi, da un «pinnacolo» coperto

di rampicanti (figg. e27 e segg.).

Gli elementi suddetti, di grande valore nella ca-

ratterizzazione del tessuto e dell'ambiente collinare,

sono stati segnalati nella cartografia (quando è stato

possibile riconoscerli) a mezzo di speciali simboli: i

viali e gli altri elementi di collegamento, a mezzo di

linee crocettate, gli elementi con valore di poli e di

riferimenti secondari, a mezzo di stelline.

3.3.3. Atteggiamenti emulativi e atteggiamenti di

rottura

Analoghi criteri di organizzazione e di inseri-

mento, semplificati e ridotti in tono minore, veniva-

no adottati, ancora tra Otto e Novecento, per le ca-

sette con orto-giardino realizzate da persone di ceto

piccolo borghese e popolare.

L'ingresso dalla strada a tali proprietà (poste iso-

late o aggregate in complessi in prossimità di zone

urbanizzate) veniva segnato da un elemento rilevan-

te (una « portina » o una coppia di « piloncini », come

si è visto). L'itinerario di accesso (un vialetto o una

scalinata) veniva spesso sottolineato da una « topia

(pergolato) di vite da tavola. Nell'orto-giardino ter-

razzato non mancavano mai un «pinnacolo» o un

padiglioncino «belvedere» coperto di verde, colle-

gato con un vialetto allo spiazzo antistante la casa, il

quale costituiva lo spazio principale e più intimo ed

il centro ideale della proprietà (figg. e30, e44).

In quegli stessi anni, tra Otto e Novecento, co-

minciavano a diffondersi edifici con giardino, con-

cepiti con modi e criteri diversi (se non opposti) a

quelli tradizionali descritti sinora.

Si tratta di ville e palazzine con parco o giardino,

generalmente realizzate da persone dell'alta e della

media borghesia emergente. La casa non era più

aggregata ad un « rustico » come parte integrante di

un'azienda agricola. Veniva generalmente collocata

isolata al cuore di un giardino ad alberi esotici, con-

cepito spesso come micro-ambiente a sé stante, inse-

rito nel tessuto collinare senza le tradizionali cure di

integrazione e di collegamento alle strutture e alle

modulazioni del più vasto ambiente collinare circo-

stante.

Sempre negli stessi anni si assisteva, con una

certa frequenza, alla creazione di parchi concepiti

con i criteri descritti, attorno o a fianco di ville e

«

vigne» preesistenti. Il fenomeno era frequente so-

prattutto nella fascia bassa collinare, attorno alle

prestigiose ville esistenti sui poggi e nelle piccole

conche dominanti sul Po. In tali casi, il parco veniva

spesso saggiamente realizzato trasformando o un

lembo di bosco o un'area non particolarmente pro-

duttiva ai fini agricoli.

3.4.

Individuatità storica detta cotlina in rapporto

con la città

3.4.1. Ricorrenze strutturali e «varietà» di siti e

ambienti

Gli schemi e i modi, di organizzazione, di inse-

rimento e di collegamento descritti ai punti prece-

denti, vennero diffusamente ripresi nelle diverse rea-

lizzazioni nel corso di tre secoli; però, volta per

volta, questi vennero interpretati diversamente, con

innumerevoli variazioni collegabili con la singolari-

tà delle situazioni locali, con la specificità delle esi-

genze e delle intenzioni, con l'evoluzione dei co-

stumi e del gusto.

Ne son venuti alla collina quei caratteri di uni-

formità nella varietà che furono tanto cari ai baroc-

chi: un carattere di relativa uniformità e di regolare

ricorrenza nei grandi schemi strutturativi ed aggre-

gativi delle cellule, dei tessuti e dei complessi am-

bientali; un carattere di «incredibile varietà», come

scrisse il Botero, nei « siti » e nelle realizzazioni spe-

cifiche, ciascuna contraddistinta da un'individualità

singolare ed irripetibile (

10

), « une infinite de mai-

sons de campagne, dont la diversité perpetuelle ré-

jouit agréablement la vue», come precisa la relazio-

ne del

Theatrum Sabaudiae,

1682 (

11

)

.

Il caratteristico ricorrente atteggiamento ambiva-

lente di chi concepì la singola realizzazione (archi-

tetto, o semplice capomastro-costruttore, nei casi

più modesti), atteggiamento, ad un tempo conformi-

stico ed innovatore, adeguativo ed emulativo, sem-

bra rispondere a ricorrenti intenzioni di fondo, ana-

logamente ambivalenti, da parte di chi intendeva

farsi realizzare o ristrutturare una « casa di collina ».

Per costui, da una parte, la casa da realizzare

doveva rispondere agli standards funzionali e di

decoro competenti al proprio rango e doveva de-

gnamente collocarsi, inserirsi ed integrarsi nella

struttura modulata di un complesso ambientale, con-

tribuendo ad arricchirne l'immagine globale.

D'altra parte, la stessa casa doveva contraddi-

stinguersi per propria individualità architettonica e

doveva enuclearsi, nello stesso complesso ambienta-

le come piccolo microcosmo, dotato di proprio cen-

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