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«vigna» del Cardinal Maurizio di Savoia (1615) e

della «vigna» di Madama Reale (1621-22), entram-

be edificate su preesistenze, segnarono invece l'av-

vio di un processo di consistente modifica e di tra-

sformazione del tessuto insediativo collinare, impo-

nendo un modello diverso di residenza extraurbana;

questo processo risultò mediato dalla cultura romana

o toscana con il tramite, spesso, dell'esperienza

francese.

Il «loisir» di corte fu inteso in una nuova acce-

zione: non più esclusivamente legato al cerimoniale

pubblico ufficiale ed alle partite di caccia, secondo

cui erano sorti il Parco, il Valentino e Mirafiori,

quanto piuttosto finalizzato al ricevimento, alle fe-

ste, agli spettacoli teatrali vissuti in una dimensione

«privata», se pur aulica.

Vale, in tal senso, il richiamo alla

Retatione

[...],

di Filippo d'Agliè sulla «vigna» di Cristiana di

Francia: « L'Otio honorato è la Mercede de' laborio-

si Impieghi. Chi fatica per la Gloria, merita riposo.

Chi ben custodisce i sudditi, mentenendogli in pace,

per giusto cambio deve anco acquistar la Pace...

Hora, meditando Madama Reale, nel rivolgimento

degli alti suoi pensieri, varij soggetti, frà quali po-

tesse rasserenar la mente, tranquillar' il cuore, e

trovare quella souave otiosità, ch'è figlia della Quie-

te, pensò di fabricare ne' floridi campi del Piemonte,

ne' vicini Colli di Torino, amabili, felici, e fortunati

Riposi, degni Concetti della sua grande Idea. Co'

Ministri, con Ingegneri, ma più seco stessa concertò

il sito, il luogo, nel quale si dovesse fondare, dedica-

ta all'Eternità, la vasta machina del suo ammirabile

intendimento » (

6

).

La collina fu assunta come zona privilegiata per

l'insediamento delle nuove residenze ducali: la sug-

gestione d'immagine della villa Aldobrandini a Fra-

scati fu riproposta nel progetto vitozziano per la

« vigna » del Cardinal Maurizio, contemporanea-

mente all'idea, realizzata per la vigna di Madama

Reale a San Vito, di un «pavilion» esoterico sui

monti dipendente dal Valentino.

La scelta del luogo, ispirata a ragioni di ordine

sacrale, igienico e morale, costituì l'autentica pro-

posizione del rapporto dialettico tra forma e imma-

gine (

7

). La conquista dell'isolamento come virtuali-

tà celebrativa pubblica, l'assoluta immersione nella

natura e al contempo la razionalizzazione dei legami

tra spazio «naturale» e spazio costruito, l'attenzione

ai significati simbolici e didascalici di tipo morale

tradotti in modelli scenografici, altro non furono che

aspetti multiformi, solo in apparenza contradittori,

del gusto manierista per la metamorfosi. Scriveva

ancora Filippo d'Agliè: « L'Edificar ne' monti è un

avvicinarsi al Cielo. L'Olimpo è Region de' Beati,

perché, eccedendo le Nubi, non teme le ingiurie

dell'Impressioni aeree. Su l'elevate cime si gode

l'aria più serena, e pura, lontana da' vapori dell'Ac-

que, e della Terra. Le fabriche piantate su gli alti

Colli, fanno publica pompa di se stesse» (

8

).

Le nuove residenze ducali riconducibili, come si

è accennato, ad esperienze culturali ed architettoni-

che esterne alla tradizione piemontese rispetti-

vamente connesse con l'esperienza romana del Car-

dinale Maurizio di Savoja alla corte del Pontefice e

con la particolare formazione della principessa Cri-

stiana, giovane sposa di Vittorio Amedeo I e figlia di

Enrico IV di Francia e Maria de' Medici — divenne-

ro innovativi «modelli» per le residenze auliche col-

linari pensati, al contempo, in una dimensione terri-

toriale che li confermò come poli emergenti inseriti

nel progetto di conformazione della città. Se il con-

cetto vitozziano di ribaltamento del Palazzo Ducale

urbano fu la premessa per l'ingrandimento meridio-

nale di Torino impostato sull'asse della via « Nuo-

va», idealmente attestata sulla residenza di Mirafiori

(

9

), la « vigna » del Cardinale fu progettata come

attestamento ideale dell'ampliamento orientale di

Torino (

10

), sul prolungamento oltre le mura di quel-

lo che verrà pianificato come asse urbano per l'edili-

zia di tipo nobiliare, bipolarmente centrato sulla Cit-

tadella.

In parallelo con il progetto di costruzione della

«città nuova» occorre dunque riconoscere il con-

temporaneo — ed inscindibile progetto per la

riorganizzazione e, in certo modo, la riconversione

funzionale dell'intero territorio collinare: i duchi, in

prima persona, diedero l'avvio a tale processo im-

ponendo così alla nobiltà di corte il modello per la

realizzazione sia del palazzo urbano sia della « vi-

gna» collinare.

Sulle motivazioni che potevano costituire un

incentivo per la costruzione delle residenze collinari

(su proprietà relativamente frazionate e di minore

reddito rispetto alle aziende produttive di pianura) è

ancora illuminante il rimando alla

Retatione [...]

citata di Filippo d'Agliè: «I vitij della Terra, e del-

l'Acqua con l'arte si possono correggere, ma non

già quelli dell'Aria... Ond'è necessario, e utilissimo

l'impiego d'ogn'industria nell'elettione de' luoghi,

ove sia ameno il suolo, e l'aria benigna» (

11

). Attra-

verso la proposizione di un accademismo decantante

in metafora i motivi della salubrità dell'aria e del-

l'amenità dei luoghi, nel riferimento con gli antichi

« ... applicatissimi nel cercare Climi sani, arie sere-

ne, floridi Campi, da fabricarvi lucidi nidi, tanto

salubri, quanto pieni d'amorosi diporti...

>> (12),

venne impostato un programma di profonda riquali-

ficazione economica e fondiaria, esteso all'intero

territorio collinare.

A partire dalla metà del Seicento, dopo anni di

gravissima crisi economica legata anche alle pesti-

lenze del 1598 (

13

) e del 1630, e alle invasioni spa-

gnole e francesi culminate nell'assedio del 1640, la

scelta delle «vigne» in collina fu, in parte, la solu-

zione che garantì i capitali necessari per la ripresa

economica e per la ricostruzione degli edifici, con-

sentendo insieme il mantenimento e l'occupazione

della popolazione residente.

L'attività edilizia infatti, come già scriveva a

metà Seicento il Cardinale Sforza Pallavicini ai tem-

pi di Alessandro VII, impedì che il denaro « fuggisse

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