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disaggregazione delle proprietà più vaste mediante

la vendita o cessione effettuata delle aree marginali a

coltivo dei fondi, conseguente anche alla autono-

mizzazione dei rustici ed alla loro trasformazione in

senso residenziale.

Mutò invece, negli anni centrali del Settecento,

la composizione sociale dei proprietari delle « vi-

gne »: la ripresa ed il rinnovamento edilizio e produt-

tivo, con processo analogo a quello affermatosi nel

secolo precedente, fu il risultato dell'affermazione

sociale ed istituzionale della nuova classe nobiliare

creata da Vittorio Amedeo II.

Attraverso l'istituto della «infeudazione di luo-

ghi», ripristinato (

21

) all'interno del programma

ella « perequazione generale», per cui le circa otto-

cento infeudazioni concesse nel passato dovevano

essere verificate e giustificate da una Magistra-

tura straordinaria, fu attuata una revisione che con-

dusse, dal 1722 al 1725, alla vendita di centosettan-

tadue feudi a centocinquantuno famiglie diverse,

con un gettito fiscale per le casse dello Stato di

L. 2.682.250. La classe dei nuovi nobili, detta « del

1722», fu riconosciuta ufficialmente da Carlo Ema-

nuele III anche sulla base del

Parere det Congresso

circa gti ordini di persone che possano considerarsi

per nobiti e capaci di acquistare feudi

(20 luglio

1738) (

22

), ove si ribadiva, con riferimento alle ven-

dite ed infeudazioni già concesse che « Gli possedi-

tori d'un feudo nobile debbono conseguentemente

aversi per nobili, operando in loro il feudo, ciò che

l'uffizio nobile in altri».

Con puntuale ed analitica attenzione descrittiva,

nel senso di formulazione di una casistica con effetto

e conseguenza normativa, tale

Parere [...]

entrava

nel merito della definizione dei rapporti tra aristo-

crazia di antica e recente origine, asserendo e con-

fermando che tre erano « ... li generi di nobiltà, cioè

per privilegio del Prencipe, di sangue e per uffizii di

dignità». Il primo, indiscusso, comprendeva

« ...

quella nobiltà la quale dal Prencipe si concede a

chiunque gli piace e vuol far nobile »

e «

questa si

tramanda senz'altro alla discendenza».

Il

secondo

genere, in cui « s'incomincia ad incontrare qualche

dubbiezza per non aversi una norma certa d'onde

misurarla», ammetteva la possibilità di acquistare

feudi e quindi di essere equiparati ai nobili, a fianco

di coloro « ... nati da padre ed avo nobili ... se sono

nati e vivono nobilmente e non solamente vivendo

delle proprie rendite, senza esercitar arte meccanica

o

vile»,

anche a coloro — e rappresenta la valuta-

zione innovativa rispetto alle precedenti norme

che con il «concorso di tre generazioni vissute no-

bilmente ... sieno altresì riputati nobili per stima e

concetto pubblico ed ammessi negli ordini, assem-

blee ed impieghi civili». Si codificava infine che il

terzo genere di nobiltà» era quello dipendente da-

gli « uffizi di dignità», con estensione alle cariche

supreme della Magistratura, del Governo dello Sta-

to, della gerarchia militare, ai Prefetti, agli Inten-

denti, alle Avvocature e, a seguito delle Regie Pa-

tenti del 21 febbraio 1735 (

23

), anche agli «ufficiali

col solo grado di capitano, i semplici laureati ed i

loro discendenti ».

La variazione della composizione sociale della

corte, cui furono ammessi i «nuovi nobili», effettivi

detentori del potere economico e ai quali fu anche

concesso di esercitare attività purché indirettamente,

fu la ragione di fondo che innescò e permise, nella

seconda metà del Settecento, un'ulteriore ripresa

dell'attività edilizia nel settore privato, che non po-

teva più essere sostenuta dalle risorse economiche,

legate alla crisi della rendita agraria, dell'aristocra-

zia di antica data.

L'ultimo quarto del Settecento, anche a seguito

del notevole incremento demografico, fu segnato dal

progressivo aumento della rendita immobiliare ur-

bana conseguente alla politica urbanistica delle nuo-

ve ristrutturazioni decretate nella « città vecchia».

Al «palazzo urbano» di tipo seicentesco, aulico e di

rappresentanza, la nuova committenza, intervenen-

do come operatore economico, sostituì la « casa da

reddito», fondata sul principio del massimo sfrutta-

mento del lotto e con notevole incremento della ren-

dita d'affitto.

Nell'acquisto e nella risistemazione della «vi-

gna» collinare si tradussero invece, di riflesso, le

istanze di rappresentanza e di decoro. Il censimento

di Amedeo Grossi del 1790-91 da questo punto di

vista è oltremodo significativo: la differenziazione

tipologica tra «villa» e «casino», al di là dei comu-

ni caratteri di «vigna» dipendenti dalla funzione,

appare contrassegnata dalla forte incidenza assunta

dalla componente aulica nella struttura dell'edificio

e nell'architettura del giardino. « Ville» infatti erano

considerate « quelle che restano annesse a' palazzi e

giardini», mentre « Casini» (o «Palazzine

») (24)

erano da intendersi « le fabbriche di buon gusto

meno grandiose delle prime »: inoltre « edifizj civili

... quelle poi che bensì sono numerose di membri,

ma senz'ordine, e proporzione » e « rustiche ... tutte

le altre, che o sogliono servire ad uso de' contadini,

o sono di poca considerazione».

Tale classificazione tipologica, che condusse al

riconoscimento già alla fine del Settecento, di cin-

quantasette «ville» sulla collina torinese e di oltre

trecento « edifici civili » intesi come « vigne», può

essere assunta come importante indicatore di feno-

meno. Accanto alla descrizione di ogni singolo

complesso edilizio con la sua interna articolazione e

suddivisione funzionale, il riferimento al nome dei

proprietari, ai titoli di nobiltà o alle professioni co-

stituisce una utile traccia per interpretare — nella

sua globalità l'incidenza sul territorio del proces-

so di affermazione sociale della nuova classe nobi-

liare nella fase emergente della sua ascesa, in un

periodo caratterizzato ancora dal principio vigente

della coincidenza tra rango sociale e potere nonché

dal fragile equilibrio garantito istituzionalmente tra

aristocrazia e « noblesse de robe ou de plume ».

Con insistente puntualità, da «estimatore» qua-

l'era (

25

), il Grossi rilevò

i

risultati in atto, con oc-

chio attento agli aspetti del rinnovamento edilizio,

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