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UN PITTORE:

GIOVANNI GUARLOTTI

G

iovanni Guarlotti è per lo meno altrettanto

torinese quanto galliatese, chè a Torino visse

la maggior parte della sua vita, dalla dura e

pur entusiastica vigilia alla serena e vitale attività

artistica affiancata a quella nobilissima del maestro,

attività che durano tuttora, nè saprei dire quale

delle due sia più cara al suo cuore, tant'è la dedizione

che ad entrambe ha consacrato. Il qualificativo pre­

posto al suo nome, che richiama alla memoria la

feconda e laboriosa terra novarese — e quindi pie­

montese seppure l'eloquio ha qualcosa di lombardo

— vuol essere un riconoscimento di quel sano e

sovente nostalgico spirito provincialesco che, accop­

piato alla sua indistruttibile ingenuità, l'ha condotto

a dedicarsi perdutamente al­

l'arte prediletta, tenendolo

in disparte, più timido che

sdegnoso, dalle frequenti

competizioni che in pittura

hanno nome di mostre ed

esposizioni e che qualche

volta,fra pettegolezzi di cor­

ridoio e incensamenti di ca­

marille e di scuolette, poco

differiscono dalle mostre

campionarie mercantili.

La mostra che ha recen­

temente allestita nella Gal­

leria Codebò, non è una

delle tante esibizioni attuali

che indussero l'Ojetti ascri­

vere di questi giorni: «Si

ricerca .perchè mai il pub­

blico rimanga estraneo al­

l'arte nuova: che è come

domandare aun galantuomo

cui s'è dato per anni del­

l'imbecille, se davvero se

n'è offeso». Il centinaio di

opere che ha offerto in vi­

sione. limpide e serene,

emotive e comunicative,non

sono uno dei tanti rebus

proposti al pubblico, ma

pagine chiare traverso le

quali tutti — tecnici e profani — possono leggere

nell’uomo e nell'artista.

Ha varcato i sessantanni, ma il fisico segaligno, il

suo gestire a scatti, quel suo rapido modo di par­

lare, il calore del suo dire che quando si intrattiene

di argomenti d'arte pare tuttora quello d'un giovane,

confermano quella giovinezza spirituale indistrutti­

bile ch'è privilegio dei veri artisti. La sua è anzitutto

arte sentita unicamente come fine a sè stessa, non

venale, anticommerciale per eccellenza, chè per con­

suetudine inibisce la vendita delle opere: e invano

cercheremmo nelle sue « personali » la costellazione

dei «venduto» che rappresenta sovente per il pub­

blico una falsa base di giudizio. Allievo affettuoso

di Pier Celestino Gilardi al-

l’Albertina di Torino, le sue

tele di quel periodo sono

pressoché insignificanti e lui

stesso ebbe a dirlo candi­

damente parlando con gli

allievi. In quelle sono inevi­

tabilmente assorbiti i tra­

dizionali toni cromatici e

ripetute le impostazioni con­

venzionali. Ma già nel 1893,

liberatosi dal fardello acca­

demico accumulatosi nei

lunghi anni di studio, egli

segue la sua natura, guidato

dal suo squisito e innato

senso del colore, sì che sin

d'allora ravvisiamo nelle sue

pitture una salutare rea­

zione. É di quell'anno il

ritratto Mia Madre già mar­

catamente personale, già

guarlottiano. In quello, sal­

tando a pii pari tentenna-

menti ed incertezze, rivela

la maturità dell'artista per

cui la disciplina dello studio

non si risolve in derivazioni,

ma, come buona semina­

gione in terreno fertile, in

nuova messe. Ha voluto ren-

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