UN PITTORE: GIOVANNI GUARLOTTI
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dere colla tavolozza, e vi è riuscito, il fantasma di
colei che era il suo più grande affetto, e quello
rivive tuttora, soffuso nella tonalità grigio-perla, in
quella positura volutamente rigida e pur devota nel
l’atteggiamento, sfavillanti gli occhi maternamente
affettuosi. Assieme ai ritratti del padre e della so
rella eseguiti nell'età in cui altri si dibattono in ten
tativi, rappresenta un’affermazione, chè l'artista ha
già in sè, in potenza, tutti i requisiti necessari per
essere tale.
L'esame della sua produzione dimostra come il
Guarlotti non voglia ripetersi. I periodi della sua
attività differiscono, oltre che come maniera e come
tonalità, anche come soggetti. Le opere del primo
periodo, contrassegnate da una caratteristica sensi
bilitàcromatica, sono l'esponente della suagiovinezza.
Vedansi fra quelle: La preghiera, Il conforto, L'estasi
affettiva (proprietà del Grand'Uff. Giuseppe Besozzi),
Il Martire del Golgota, La vecchia canzone e La cieca
(quest'ultima nel MuseoCivico di Torino), dove l'ar
tefice* appare ancora sotto l'influsso dell'ambiente
provincialesco bucolico nel quale trascorse l'infanzia,
ambiente che lo porta a preferire i colori tenui e
la luminosità diffusa per fermare intime scene per
vase di purezza e di serenità. Nel 1900, mutato l'am
biente e le condizioni di vita, allontanatesi nel tempo
le visioni galliatesi, egli entra in un nuovo ciclo di
attività.
In quel tempo si sposa ed inizia la carriera del
l'insegnamento dalla quale trarre i mezzi di vita che
gli permettano di dedicarsi all'arte senza preoccu
pazioni venali. I primi tempi trascorsi nelle aule sco
lastiche disorientano il suo spirito, la nostalgia della
plaga novarese gli dà un senso di sconforto, la sua
attività è scarsa. Una grande vivificatrice verrà allora
a scuotere il suo spirito, a parlare al suo animo fan
ciullo di pittore poeta: la montagna. Davanti alla
maestosità d’un ghiacciaio o ad una linea di monti
digradanti inizierà quella sua serie di notazioni ful
minee, fermate con schietta gioia, tempestate da
macchiette controluce in pieno contrasto, attestanti
la fresca spontaneità che lo guida quando s'accinge
a dipingere. Il triennio 1910-1913 trova il Guarlotti
tutto preso da un’altra attività. Siamo ancora in alta
montagna, in quel di Aosta e in quel di Lanzo. Gli
alti pascoli dalle grandi e pacate scene virgiliane lo
convertono in pittore animaliere. Non cura il sole
che l'arrostisce, il vento e la piova che lo gratifiche
ranno di qualche acciacco nell'avvenire.purdi lavorare
imperterrito sino ad esaurire appieno il tema che
l'ha sedotto. Guardando quei quadretti, alcuni dei
quali figurarono nell'ultima mostra, si vorrebbe quasi
definirli «ritratti» più che studi d'animali, chè la
sua comprensività ha saputo trovare un’emotiva nota
psicologica per le solenni mucche e i monumentali
bovi.
Dal 1914 al 1920 la sua attenzione è attratta da
un altro ramo della famiglia zoologica: gli abitanti
del pollaio. Un centinaio di cartoni e di assicelle, per
la più parte felici nel taglio e nella composizione, tali
da dare l'illusione di un continuo mutamento d'am
biente, laddove il teatro di esecuzione -si circoscrive
in pochi metri quadrati, testimonia di questa fase
della sua pittura. La sua attività non conosce soste.
Dopo quel periodo lo vediamo nella sua pianura
galliatese, intento a fissare, col pennello fatto più
esperto, gli illimitati orizzonti, indugiarsi a rendere
con sottile maestria le spighe di grano, le piante
di meliga e la tenuità muscosa dell'erba tappeto che
s'alterna lungo il canale Cavour ai rovi che germo
gliano sui rialzi, con una compenetrazione cosi accorta
e profonda che par quasi di sentir le nari impregnate
dall'acre profumo delle erbe. Ed eccolo, più tardi,
sulla strada nazionale che sale al Colle di Tenda, in
mezzo al polverone che l'investe, fermare, con quella
sua tipica rapidità, gustose scenette ambientate con
sorprendente sicurezza; ed eccolo ancora nel valdo
stano a Breuil, nella valle d'Ossola a Macugnaga,
agile come un camoscio, attrezzato da pittore e da
montanaro, con i calzari che le sue gambe allampa
nate non riescono a riempire, con la barbetta e i
baffi moschettiereschi scarmigliati dal vento, tutto
movimento, tutto nervi, tipica e schietta figura del
fiù schietto ottocento, figlio autentico del tempo
suo, inebriarsi di colore e di lavoro.
La sua multiforme attività che abbraccia circa
mezzo secolo, è tangibilmente rappresentata nella
• recente mostra dove dal profilo della madre del
1892giungiamo all'Autoritratto che porta la data 1934.
L'arte del Guarlotti, cui dobbiamo quel Ritratto della
Madre che si conserva nel nostro Museo Civico
d'Arte Moderna, opera dove l’uomo e l’artista sono
fusi in un anelito d'amore, i inconfondibilmente