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F

u detto che il secolo XVIII somiglia in qualche

modoall’ultimo atto di un lungodramma, poiché

tutto quello che ancora rimaneva dell'antico

sistema politico venne a esaurirsi per dar luogo ad

e ai loro nobili ardori siano travolti a méte diverse

da quelle da essi sognate e volute, come certi eroi

di quelle antiche epopee nelle quali Giambattista

Vico aveva da poco fissato il suo acuto sguardo. Nei

canti nazionali francesi, gli eroi non son già tutti

degli Orlandi che combattono e muoiono confon­

dendo in una sola devozione Dio, la Patria, il Re;

ci sono anche quelli che con Carlo Magno sono cor­

rucciati e si atteggiano contro di lui, cavalieri feudali

di Borgogna, del Rossiglione,

Normandia, in

apparente contrasto col re; ma c e

un

segreto legame

fra tutti, c’é nella indipendenza dei paladini, parados­

salmente sottintesa, la passione per una causa unica,

la patria comune, la nazione di cui son servitori, i

destini del paese di cui sono collaboratori autonomi

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(m irano dei pittore

un ordine nuovo di cose. Per l’Italia, esso hasegnato,

col tramonto definitivo dell‘impero di Carlo V, il

crepuscolo di un’alba lenta e laboriosa che s'apriva

verso il meriggio della indipendenza dallo straniero

e della unificazione sotto l’egida dei più galantuomini

e forti fra i suoi principi.

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Piemonte, a^ntatr» gii in Miwrhj» circostanze

aiie riscosse, riprendeva, e questa volta oon attenta

nuovae con l’aureola delia recente regalità, a battere ’

il passo, e. nella vigilia nubiIosa e ina di contrasti e

di contraddizioni. Giuseppe Baratti e Vittorio Alfieri

nanno i «speno

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out civiiifttscm c venturosi

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d i avvenimenti hanno in ouefi’eoocR di rinsròta

Qualcosa di mitico, e dentro l’alone di ouei

sole è più eloquente il fato che i

imprassi che non ancora una

prac

lezza dai fini e coerenza dai mani.

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DUE PALADINI DEL

GIUSEPPE BARETTI

c c l o piemontese:

VITTORIO ALFIERI