DUE PALADINI DEL CICLO PIEMONTESE: GIUSEPPE BARETTI - VITTORIO ALFIERI
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samente tutto così. L'animo piagato di tristezza e di
sublimità fin dall'adolescenza doveva quasi logica
mentesfociare nell’aristocratico travagliodel coturno.
* * *
La sua fu una vita vorticosa e fremebonda, pla
smatada lui come volesse, secondo glielo permetteva
l'indipendenza economica, azionata e rapinosa come
un atto delle sue tragedie, tale che ci si domanda
dove trovasse mai ii tempo per tutto lo scrivere che
ha fatto, e per stendere, verseggiare, limare, e poi
correggere, e poi leggere, e poi ristudiare il latino,
e poi impararsi il greco. Un vulcano!
Era nato adAsti nel I749 dal Conte Antonio e da
Monica Maillard di Toumon; a nove anni entrò nella
Accademia dei Nobili, di Torino, donde uscì, a 17,
col grado di portainsegne nel reggimento provinciale
di Asti. La sua riottosa sensibilità lo spinge a chiedere
un primo permesso di andare all'estero, ed allora era
estero il Lombardo-Veneto o il Regno di Napoli,
come la Francia, l’Inghilterra, l'Olanda. I viaggi erano,
nel secolo dei lumi e del cosmopolitismo, il diverti
mento dei disoccupati: costavano poco, insegnavano
il mondo a chi avene gli occhi aperti, e offrivano le
più matte avventure, nel pettegolezao o nella storia,
ncii amore o
o nella curiosità amena. L'Alfieri, alla manìa dei
viaggi aggiunge quella dei cavalli. Prima scapicollò
da Milano a Firenze, a Roma, a Napoli; poi girò tutta
l'Europa, da Vienna a Pietroburgo, da Berlino a
Gottinga, dalla Svezia a Londra, a Parigi, a Marsiglia,
all'Andalusia, a Lisbona. Nel I772, ritornava aTorino.
Aveva avuto un’avventura amorosa a Londra; un
indegno amore lo legò anche allora nella nostra città,
ma, la notte, come già a San Casciano il Machiavelli,
si cibava coi libri e con le scritture di un cibo nuovo,
di quello che stava per diventar solamente suo. Infatti,
facendo l’infermiere all’odiosamata, ha l'impresione
di essere nella condizione psicologica del vecchio
guerriero Antonio, i cui casi contemplava in un arazzo
appeso nell’anticamera, e stende lo schema della
prima tragedia
Cleopatra.
Gran successo al teatro
Carignano, dispetto e fervore di opere veramente
degne nel giovane poeta. Bisognava però imparare
l’italiano, ed egli decide, a 27 anni, di stabilirsi in
Toscana, la terra promessa della poesia e della lingua
pura. Tra Pisa, Firenze, e Siena, passa qualche anno,
e intanto s’innamora di una regina spodestata, la
contessa Luisa Stolberg d’Alban/, e la rapisce al
vecchio marito ubriacone, e la segue a Roma, poi
la va ad attendere in Alsazia, da lei ricevendo impulso
ed ispirazione alle prime dieci tragedie, fra cui il
Filippo,
l
'Agamennone,
e il
Saul.
In Alsazia, nuovo
bollore d’ispirazione per liriche e tragedie, quindi a
Parigi per curarne la stampa coi tipi del Didot.
Nel I789saluta la rivoluzione che scoppia sanguinosa,
ma si stomaca dei rivoluzionari, che gli vorrebbero
confiscare mobili e libri. Disingannato delle utopie,
frantumati gii ideali repubblicani per i quali al posto
dei Timoleoni e dei Bruti si insinuano Marat Danton
Robespierre, torna a Firenze dove ha tempo di ve
dere, senza più interessarsene eccessivamente, il sor
gere dell’astro napoleonico, la reazione del 1799. la
vittoria di Marengo. I francesi, ch’egli dichiara di
odiare, lo colmano di gentilezze, la libertà che egli
vorrebbe ora sconfessare dilaga con scandali e scismi.
Nella solitudine sempre più melanconica, detta le
Commedie, inventa il genere nuovo della tramelo-
gedia. e studia il greco, di cui si crea di propria mano
cavaliere. Massimo d’Azeglio, nei
Miei Ricordi,
ha
briosamente rievocato le sue impressioni di fanciullo
quando frequentava in Firenze la casa Alfieri nei
primi anni del secolo. Il poeta gli apparve « un uomo
lungo, tutto vestito di nero, di viso pallido, con
occhi chiarì, ciglia aggrottate, capelli tendenti al
rosso, e gettati indietro dalle tempie e dalla fronte ».
La contatsa un’c ampia circonferenza, tutta in bianco,
col gran
fkhu
di
Ikton
alla Maria Antonietta».
Morì nel I803, ed è sepolto in Santa Croce.