UNA LOTTERIA MISSIONARIA A TORINO
detto anno, lo stesso Ministero crede d’essere il
caso di doversi apprestare per l'adesione alla do
manda di cui si tratta».
Il
15 settembre 1857 l’intendente generale della
Divisione di Torino, conte Carlo Farcito di Vinea,
firmava il decreto che permetteva l’apertura di una
Lotteria « a prò dei missionari sardi sparsi in tutto
il mondo» e ne stabiliva le modalità.
L'Esposizione Missionaria
Come già ebbi occasione di dire, al progetto della
Lotteria ben presto seguì quello di una esposizione
di tutti gli oggetti, inviati da tutti i paesi del Regno
Sardo e dai missionari, per essere poi sorteggiati.
A questo proposito il canonico Ortalda scriveva:
« Il soccorso materiale che prometteva alle mis
sioni non fu l'unico, e, direi anche, il principale scopo
che si ebbe in vista da coloro che la caldeggiarono.
L'epoca di maggior pubblicità, in che eravamo entrati
da gran tempo, pareva considerarla siccome mezzo
acconcio per porre in rilievo la ragionevolezza del
l'obolo delia fede che si raccoglie tra noi, ed il titolo
di pubblica benemerenza che acquistano i nostri
missionari che lavorano a diffonderla, a propagarla
nelle lontane regioni.
«L'atto di presenza che questi facevano colla
molteplicità e varietà dei loro doni inviati da tutte le
parti del globo, li doveva chiamare promotori non
solo della religiosa, ma eziandio della civile coltura,
e resi doppiamente benemeriti della società. La vista,
poi, di un così ricco emporio di oggetti nostrali ed
esotici pareva adatta a crescere importanza alle mis
sioni, ad eccitare i fedeli a sostenerle e promuoverle
con l'apostolato; sussidio questo non meno neces
sario dell’altro per rifornire le file dei missionari
continuamente diradate dalle fatiche e dalla perse
cuzioni » (3).
Il can. Ortalda, riassumendo in poche linee tutte
le disposizioni che il Governo aveva preso in favore
della Lotteria, scriveva ancora: « Vi concorsero tutti
i ministri non solo con doni, coll’acquisto di biglietti,
maeziandio neM'agevolare l'esecuzione. Ad esempio,
quello degli esteri, per quanto veniva dall'estero o
doveva mandarsi all'estero; quello deli’intemo, per
le comunicazioni interne per il tramite degli inten
denti sino ai sindaci del più piccolo villaggio; quello
delle finanze, per le dogane; dei lavori pubblici, per
le ferrovie; della guerra e marina, per i trasporti di
mare. Si sarebbe fatto assai più se non cominciavano
i movimenti di guerra. Un beH'argomento —conclude
il can. Ortalda —di quantosi puòottenere quandodii
siedeal timonedegli affari ha la vista di lungaportata».
Ma chi sedeva allora €al timone degli affari » si chia
mava Camillo di Cavour, e uomini di tal levatura,
mentre curano le grandi cose, non trascurano le pic
cole, poiché, qualche volta, anche da piccole coseessi
possono ottenere grandi risultati.
Si speravadi aprire l'esposizionenelfebbraio 1858;
ma, per il gran numero di oggetti inviati, e per il
ritardo di quelli che dovevano giungere da paesi
molto lontani, l’apertura fu rimandata all’8 maggio.
In tale giorno, nonostante la pioggia fittissima e osti
nata, le Principesse di Savoia, Maria Clotilde e Maria
Pia, circondate da numerose dame e damigelle, inau
gurarono ('Esposizione Missionaria, piene di ammi
razione per i molti e ricchi doni che vi erano raccolti.
L’esposizione occupava le sale, messe gentilmente
a disposizione del Comitato dalla nobildonna Matilde
Miglioretti dei Conti di Bourset e San Sebastiano,
nel piano terreno e nel primo piano del palazzo di
sua proprietà in piazza Vittorio Emanuele I (piazza
Vittorio Veneto), con ingresso da via Vanchiglia n. I.
Sotto i portici della piazza un grande cartellone con
la scritta:
Esposizione di oggetti delle cinque parti del
mondo,
invitava i cittadini a visitare la riuscitissima
mostra missionaria, che rimaneva aperta tutti i
giorni, escluso il sabato, dalle dieci del mattino alle
quattro pomeridiane. Prezzo d’ingresso: 40 centesimi
nei giorni feriali, 20 nei giorni festivi e nei giovedì.
Tutti i giornali di Torino ebbero parole di viva
lode per questa esposizione, a cominciare dal foglio
ufficiale del Regno, la
Gazzetta Piemontese,
e poi ne
trattarono in brillanti articoli il Baruffi, il padre
Bassi, Vittorio Bersezio, il quale, dopo aver trac
ciato un vivace quadro delle benemerenze religiose
e civili dei missionari scriveva: « Da quattro lustri il
nostro Paese accolse la pia Opera della Propagazione
della Fede, e mandò al sacrosa
-nento i suoi
figli. Nel 1841 i missionari degli btati Sardi erano
sessantotto, nel 1849 duecentoventuno, nel 1853
trecentoventiquattro, e al di d’oggi sorpassano i
seicento». Un tempo, egli osservava, la gloria di
spargere la luce del Vangelo, che è luce di civiltà,
nel mondo, era gloria quasi esclusiva dei missionari
francesi: oggi è anche gloria nostra.
L'Esposizione avrebbe dovuto essere definitiva
mente chiusa alla fine del
1858;
ma tale fu l'interèsse
da essa suscitato che si deliberò di continuarla in
una nuova sede,e cioè negli ampi saloni del Palazzo del
Debito Pubblico, in via Bogino. La solenne funzione
della riapertura, avvenuta il 24 dicembre, fu onorata
di nuovo dalla presenza delle Principesse Maria Clo
tilde e Maria Pia.
Il
30
del mese seguente la Principessa Maria Clo
tilde di Savoia andava sposa di S.
A.
I. il principe
Napoleone Buonaparte, cugino di Napoleone ili,
imperatore dei Francesi; e pochi mesi dopo l'esercito
franco-sardo iniziava la seconda guerra per l'indi
pendenza italiana.
Il
padre A. Bassi, minore osservante, avuta no
tizia delle prime vittorie franco-sarde, scriveva a
Torino: « Dio faccia che tutte le future notizie siano
belle come le prime! E qui, con più confidenza che
nel'48, io ripeto la preghiera della nostra Colombini,
dall'ingegno maschile:
Gran Dio. «H'hato
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