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Il Caval iere di Grammont a Torino

e la saggezza della signorina di S. Germano

A

ntonio Hamilton, uno dei più squisiti racconta­

tori della letteratura francese, era un inglese

e di razza scozzese. Vi sono stati degli altri

stranieri: OrazioWalpole, l’abate Galiani, il principe

di Ligne, i quali sono stati maravigliosamente padroni

non solo della lingua ma anche dello spirito francese;

ma nessuno si è immedesimato con esso così intima­

mente come lui.

L’Inghilterra, che aveva rapito Saint-Evremond

alla Francia, glielo restituì nella persona di Hamilton,

il cronista leggero di tutte le eleganze.

Venuto in Francia con i fratelli, seguendo con

fedeltà lo spodestato Carlo II d’Inghilterra (1688),

aveva sposato la propria sorella al Conte di Gram­

mont. e non sarebbe passato alla storia che per

l'accenno di Saint-Simon, il quale nelle sue

Memorie

presenta gli Hamilton come « affetti da una punta di

originalità» se, essendo già vecchio, nel 1704, non

avesse avuto l’idea, per divertire il Conte di Gram­

mont. più che ottantenne e sempre galante, di scri­

verne le avventure di giovinezza ed esserne il suo

scherzoso Plutarco.

Le sue

Memorie di Grammont

sono scritte in modo

che fanno valutare tutta la giustezza di quel motto

di Voltaire: «

La grdce en

s

’exprimant vaut mieux que

ce qu'on dit».

La sostanza è lieve, ma non frivola come qualcuno

ha detto. Non è più frivola di tutto quello che si

riferisce alla commedia umana. Ci sono dei grossi

trattati di filosofia di morale e di storia che con la

loro dignità sono assai più frivoli di queste memorie.

Il loro protagonista^ era stato l'uomo più alla moda

del suo tempo; l’ideale del cortigiano in un’epoca in

cui ia Corte era tutto: il modello reale del perso­

naggio da romanzo o da commedia leggera: brillante,

svelto, incostante ed instancabile che trova rimedio

a tutte le follie con un colpo di spada ed un motto

di spirito.

Si diceva di lui che erano il suo accento, il suo

modo di esprimersi che davano valore alle sue parole

e che esse « divenivano zero nella bocca di un altro ».

Lo scozzese Hamilton ha smentito tale diceria, ed

ha restituito a Grammont tutto il suo tono, se pure

non gliene ha prestato Nulla eguaglia questo suo

modo di raccontare, facile, giocondo, che unisce i!

famigliare ai prezioso, di una presa in giro incessante

e pur quasi insensibile, di una ironia che sguscia e

non insiste, di una maldicenza piena di correttezza.

La sorella di Hamilton, la quale aveva sposato il

Conte di Grammont, era bellissima, ed il nostro

scrittore se ne valse per vincere una scommessa.

Egli si trovava un giorno con un amico in un giardino

e scommise che si sarebbe avvicinato ad una dama

seduta su di una panca e che volgeva loro la schiena,

l’avrebbe percossa a mano aperta con uno di quei

colpi che sono piuttosto adatti alla punizione dei

bambini capricciosi che a richiamare l’attenzione

delle dame, senza che ella se ne offendesse, anzi

provocando da lei un moto di gradimento. Difatti,

avvicinatosi cautamente e compiuto l’attentato, che

si potrebbe giustamente definire basso, al primo

risentirsi della vittima, Hamilton fingendo la più

grande sorpresa e sventolando fino a terra il feltro

piumato le disse: «Scusi, signora, nelle linee del suo

bel corpo rassomiglia tanto alla Contessa di Gram­

mont, mia sorella, che mi sono preso questa libertà».

Un bel sorriso di compiaciuta indulgenza fu l'imme­

diato effetto di questa giustificazione.

Tutto questo è certamente interessante dal punto

di vista letterario ed aneddotico, ma non ci sarebbe

ragione di intrattenerne i nostri lettori, in sede di

Rivista

Torino,

se una parte delle Memorie del Duca

di Grammont non avessero per teatro il Piemonte

e particolarmente Torino.

Egli iniziò, ventenne, la carriera delle armi quando

le soldatesche di Luigi XIII, o meglio dell'onnipotente

Richelieu, stringevano d'assedio Trino (non Torino),

in alleanza con i Piemontesi, ed avendo per nemico

comune le truppe spagnuole, che occupavano pure

Casale e miravano al possesso del Monferrato. Il

Principe Tommaso di Savoia teneva il comando in

capo, e suo Maresciallo di Campo era il famoso

Turenne. L'assedio si prolungava. Il brillantissimo

Grammont, giungendo sul luogo della lotta, più che

a riconoscere le posizioni, si dedicò a far conoscenza

dei generali e dei comandanti. Preceduto da una

fama di cortigiano fortunatissimo e talvolta insolente,

pronto a qualunque spesa, anche se i fondi copiosi

datigli dalla madre erano sfumati in avventure di

amore e di giuoco durante il mese che egli aveva