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Giulio Catara: il fonditori dalla Torino romana

panna. villappio. o città, i* i|iiello. d'altronde assai

facile, ili costruirli) alla confluenza ili due

corsi

d'acqua di qualche importanza.

\hbiauio. nella peoprafia antica, moltissimi esempi

di tali foiidaziiuii. tra cui, non ultimo, quello di

(.onfìenza ( (.oiifluentia) che certifica, col suo nome.

I intenzione depli erettori.

Applomerato di capanne di questo genere era pu-

ranco Taura«ia sorpente esattamente all incontro dei

rispettivi coni di deiezione del IN» e della Dora R i­

paria. al preci«o «ito dell'attuale horpata Yanchiplia.

I. curioso il fatto che i Taurisci. «uoi aiutatori, detti

poi. dapli storici quiriti. Taurini, abbiano all’in-

circa i mede-imi caratteri psichici dei \enturi tori­

nesi: il Heiiditielli li dice, per l'appunto, semplici,

rudi, superiti ed insofferenti di piopo.

Bellicosi.

essi si

trovano, nel

225 e

nel

218

a. (!.,

rispettivamente in guerra prima contro

i

Komani

e

poi contro i Cartaginesi, Contro Roma fanno parte,

come a.-sociati agli insubri. della coalizione dei Calli

M

d'Italia, pur. propriamente, non appartenendo a

quella razza. K. con tutti pii alleati,

subiscono.

ili

parte di Umilio l’apo e Attilio Repolo, una saupui-

uosa sconfìtta.

Alla discesa di Annihale. resistono.

Il Cartaginese, conscio, da ottimo «tratepa quale epli

era. deH’importanza militare della porzione, asse­

dia la città.

I Celto-lipy difensori (mirabile a dirsi!) resistono

eroicamente — esimio pupuo d'eroi — alla morsa

ferripna del titanico esercito annibalico. I.a razzu-

maplia punica, dopo la contrastata vittoria, «'abban­

dona vandalicamente al sacco e alle strapi.

La città viene rasa al suolo.

Ancora una volta, nel 207 a. (1., quando pià. forse,

le posse seprete dell'indomita razza avevano riedi­

ficato la capitale dei Taurisci, mareppia inconteni­

bile il passappio di un secondo esercito cartapinese.

Edotti dalla dura esperienza, pii abitanti della ri­

sorta Taurasia non opponpouo una resistenza che.

per altro, sarebbe nuovamente stata vana.

INii Annibale cade.

La fiamma che la minaccia africana aveva offuscata,

ma non spenta, brilla di rinnovellata e più fulpida

luce sull'imprendibile arce capitolina.

Le altovolanti aquile romulee spiccano, per non più

arrestarsi, il loro volo predace. K l'epemonia di

Roma dilapa come una sorpente dissiippcllata. coinè

un torrente ormai non trattenuto; rappiunpe il na­

turale arpine delle Alpi; lo trascende e prosepue.

Mantennero pii alteri nostri propenitori la loro in­

dipendenza più a lunpo di altre popolazioni con­

peneri? Alcune testimonianze paiono affermarlo. Ma

IT 'rbe rappresentava una di quelle provvidenziali

forze storiche che hanno la violenza e l'inelutta­

bilità depli incoercibili fenomeni naturali. K presto

o tardi i Taurisci dovettero cedere.

Roma, oltre che conquistatrice, è anche madre e

maestra alle penti.

Dopo i disordini, infatti, causati dalle riforme prac-

chiaiie, dopo le luttuose competizioni fra Mario e

Siila, la Città Eterna dettò le leppi delia sua civiltà

imperitura ai primitivi cisalpini.

E si ricelebrò, come pià sette secoli innante ai bordi

del biondo Tevere, il mitico rito delle fondazioni

urbiche sulle rive del fluente Eridano. Ma qui il

prodipio fu — oserei dire — più reale, più austero,

senza inutili orpelli leppeudarii. di per se stesso

meraviplioso nella sua linearità militaresca. Auspice

della consacrazione novissima fu un piovine Iddio,

oriundo, come l'antico (Quirino, del Lazio, che

avrebbe rappiunto in breve i cieli superni del­

l'Olimpo papano e dell'immortalità storica: ('.aio

Giulio Cesare.

II campo trincerato, sorto, un po' a nord rispetto

all'abitato barbarico, forse ancor prima dell'occupa­

zione di Sepusium. capitale del Re Cozzio, e della

erezione di Eporedium, onde parantire alle opera­

zioni nelle Callie una sicura base, si trasformò, con

celerità romana, in una vera e propria città opu­

lenta e munita.