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UN B O T T E G A R O

POETA A TORINO

('.lurice Tar tù fari in vetrina a Turino

t

ONORATO CASTELL INO

{inclinino di quelli che hanno maggiore consuetu­

dine con quell'anima entusiasta e trasparente, che ha

il nome di I-'ilippo Tartùfari, assistendo al nascere

e al crescere di quest'ultima opera, arra certamente

messo il suo autore suH'avi'iso dell'ibridismo architet­

tonico con cui egli, componendo il suo libro, si cimen­

tata. Son è Tartùfari un uomo che tenti minima­

mente di celarsi dietro l'ardore di un sentimento,

quindi, anche prima che glielo dicessero altri, l'ha

capito da se, che lo sfogo dei suoi versi e la cronaca

autobiografica, e i modiveni della sua quotidiana

com­

mozione, per signorile ch'essa sia stata, poco ha da

spartire con l'austera nobiltà dei ricordi bellissimi e

assolutamente inediti che gli nascono dalla storia di

sua madre.

Già ti sorprende il titolo

<■

liottegaro

Ma la bot­

tega di Filippo l'artùfari ha caratteri specifici di con­

sulenza tecnica e di expertise scientifica. Fallo par­

lare, e capirai che la sua laurea di ingegnere non l'ha

mica avuta barando agli esami. <• Poeta?

».

ti

inutile

storcere la bocca. Oramai abusati tutti di questo appel­

lativo, specialmente riparandosi sotto il facile con­

venzionalismo popolaresco dialettale, ma in sostanza

siamo d'accordo. Trovare l'espressione felice a un

motto, una sua cadenza a un tratto satirico, una sor­

tita di sorpresa a una botta e risposta, una eco dia­

logica e rimata a un ricordo storico o a un fatto di

cronaca, è un risultato piacrcole e carezzevole all'orec­

chio, un prodotto letterario simpatico: non poesia.

Punenti e Guadagnoli non sono Giusti, e nemmeno

Porta e nemmeno Pelli. Tartùfari ha trovato a ciò

la risposta più azzeccata nella sua modestia.

<•

Chi ha

mai preteso a tanta ambizione di paragone? Legge­

temi e ditemi se il libro vi piace e dove no, perchè

l'ambizione mia è stata molto semplice: rivelarmi quel

che sono

».

Ed è proprio questa, questa indicataci da lui, la

strada in cui c incontreremo con il suo, il suo di lui,

bello poetico, quello che caratterizza il suo lavoro di

cesello delle rime, la narcistica insistenza con cui

persegue i suoi endecasillabi e la fanciullesca inge­

nuità con cui li sparge fra il pubblico. Tanto è la

sua passione per il verso che certe volte non discri­

mina i metalli della sua ispirazione. E siccome per

le vie del mondo incontra sempre qualcheduno che gli

dice bravo, non si preoccupa se nella sua tasca tin­

tinnano monete di rame accanto alle monete d'oro.

Egli è noto spenditore: vede che le monete corrono e

se ne appaga.

Il

lettore provveduto troverà di suo gusto fare lui

la cernita e fissarsi le pagine vive e veramente rivela­

trici.

Lo scrittore presenta il padre, un uomo di banca,

bonario, pessimista nei riguardi della salute, cioè un

malato immaginario. «Quand'ero ragazzo, un giorno

mio padre mi prese in disparte e mi mormorò con

aria di mistero:

Son dire nulla a tua sorella e

alla mamma, ma io sono malato gravemente. Vedi,

ho le caviglie gonfie: questa: caro Filippo è malattia

di cuore

—. —

Son saranno invece le tue scarpe

nuove a gonfiarti i piedi

? —

replicai vedendo il suo

viso rubicondo e pieno di salute. La mia domanda non

era del tutto disinteressata perchè già da diversi giorni

tacevo all'amore con quelle scarpette all'ultima moda.

Liti non mi rispose lì per lì, ma qualche tempo dopo

mi chiamò e mi disse:

Avevi ragione erano le

scarpe, te le regalo

».

i n quadro ed una situazione: perfetti.

Il

volume è dominato fin dall'anteporta, dal

tratto a puntasecca di una donna energica, intelligente,

d una serietà conciliante insieme fiducia e rispetto:

Clarice Tartùfari, la madre. Benedetto Croce ha ormai

assicurata a questa nostra autrice di romanzi, novelle

e drammi, la fama che la fortuna le contese, e ne ha

messo in valore il robusto temperamento, lo sguardo

ampio sul mondo che la ispirava, il sentire vigoroso

e compatto. Clarice Tartùfari fu a Torino parecchie

volte ad assistere alla prima rappresentazione di una

sua commedia, e forse avrebbero potuto venire a galla

episodi, spunti precisazioni documentazioni se la na­

tura del libro lo avesse permesso. Pensate: la fine del

secolo scorso, l'alba di questo, un alone già preparato

e suggestivo. Filippo Tartùfari però ci dà lo spunto

di molti particolari, ci dice che la mamma discendei'a

da nobile famiglia, che rimase presto orfana, che

crebbe presso i nonni materni a Sovillara nella piena

libertà della campagna. Ci dice che la modesta casa

a Roma era frequentata da eminenti artisti e letterati.

Ci dice che il traduttore della Tartùfari era Hans

Harth, quello delle Osterie d'Italia e degli incontri con

D'Annunzio. Ci parla di Ada Segri e Grazia Deledda.

E ci sono brani indimenticabili per la sanità umana

che confortano, per il saporoso realismo ottocentesco

che ci offrono. «Mia madre

l'Autore scrive

oltre che una grande scrittrice, era pure una saggia

donna di casa: scriveva tutte le mattine fin verso le

otto e poi tutto il giorno accudiva alle faccende do­

mestiche ». Una pennellata di costume italiano. Un

altro spunto più profondo:

«

Mi scriveva: mi racco­

mando se vieni a Roma: non capitarmi all'improv­

viso. Al mio arrivo sfoggiava i suoi migliori vestiti,

modesti, ma sempre di buon gusto, mi trattava come

un compagno. Mi diceva:

Oggi pago io, domani

toccherà a te ».

Un lampo ^i commovente e modesta verità, quella

che era consentita ai lavoratori della penna nei giorni

in cui non si conoscevano i premi di un milione, nè

l'accorrere dei fotografi, nè le interferenze (e siano

pure oggi benedette!) della letteratura militante con la

cinematografia.

Dal libro di Tartùfari ci pigliano queste chicche, e

lasciamo a chi piace la cronaca rimata dei monumenti

torinesi, degli amici, delle gite in montagna.

Agosto 1952.

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