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Limo da >• I.imen », Meugliano da «Mollia Altus », Nova-

reglia «la • Nova Klla », Ortule da

«

hortus », Drusacco

da »Drus Altus», Prelle da <■Prao Klla», Confienza da

• (onflare » (fondere metalli), ecc.

I>r«>s><», il più antico Imrgo del luogo, |vrchè i romani

ne fecero il primo caposaldo, che domina la valle e la

sottostante pianura e che aveva ed ha le più importanti

miniere, ebln* anche il primo tempio dedicato al Dio

Sole, e la chiesetta col suo aguzzo campanile che si

staglia nelle l‘realpi ed è visibile dalle lontane Torino

e Novara, nel primo medioevo fu dedicata al culto cat­

tolico. K evidente la sua priorità al culto dal nome ri­

masto al parroco e cioè Priore da »Prior », mentre sol­

tanto nel K)jo nella valle predominò il Pievano, da

» Plebanus Vallis », eletto dal jxipolo a titolare della

chiesa della vicina Vico.

I.a storia della valle è muta nei secoli che vanno

dalla dominazione romana a quella dei (ioti, Longobardi,

Franchi ed Allemanni. Restano da ricordare le oscure

vicende della chiesa di Brosso, che venne rifatta in stile

longobardo-gotico, e il Piano degli Allemanni (« Pian

di Alman ») ch'e un promontorio sopra Brosso ove sus­

sistono resti della lavorazione del ferro. Resta così

dimostrato che anche gli Allemanni si fermarono nella

valle e ne sfruttarono le miniere per ricavarne armi.

Verso il

IKK»

fu costruito il castello di Brosso dai

signorotti che la fecero da padroni, specialmente nelle

valli di difficile accesso. Kisultereblx1 che il primo di

tali signorotti sia stato Martino di Ardizzone, Conte di

San Martino di ( astellamonte, il quale dominò la valle

ed impose tributi. Il castello, di cui restano pochi ruderi

ed un sotterraneo, era attiguo alla chiesetta e sorgeva

sopra una balza a picco sulla pianura.

Nel 1339 le lotte nel Canavese infierivano fra i di­

versi castellani, cioè fra Valpergani e Sammartini ed

allorquando nel 13O5 Amedeo VI di Savoia li pacificò

ed i signori canavesani si costituirono suoi vassalli, il

Marchese di Brosso fu nominato Gran Bali.

La produzione delle miniere aveva grande importanza

per il Ducato di Savoia e lo si desume dal fatto che in

nessun altra parte del Piemonte si potevano trarre,

come a Brosso, armi, legname, lana, carne e denaro

(per diritto di pedaggio).

È nota la storia dei soprusi che avvennero qui, come

nel marchesato d’Ivrea, nei feudi valdostani ed in quelli

di tutto il Canavese e che andavano dai gravosi tributi

che impoverivano le popolazioni, alle angherie di ogni

specie fra cui il tristemente famoso «jus primae noctis»

imposto alle fanciulle che andavano spose.

I

Tuchini della valle (1), con a capo un coraggioso

pojxilano, Antonio Capra, sulle balze e nel greto del

torrente Assa, nascosti nei folti boschi, si fabbricavano

armi d'ogni genere, dalle roncole, ai tridenti ed alle spade.

Decisi a scuotere il giogo che li opprimeva, si radunarono

nelle alte baite e un imprecisato giorno dell’anno 1389

in poco più di due centurie piombarono sul castello di

Brosso, ne distnissero la guarnigione, demolirono la

costruzione pietra per pietra, imprigionarono in una

botte il Conte Giovanni di San Martino e Io fecero ro­

tolare per ripida dorsale che porta ancor oggi il nome

di Drinà (fracassato).

Per concessione del Duca di Savoia, un lontano ni­

pote dei conti di S. Martino, e cioè Paolo Emilio di

Parella, sedati gli animi ed eliminati i motivi di oppres­

sione, nel 1631 ritornò a Brosso in umile casa per pren­

dere possesso <• prò forma » della contea. Nel 1672 l’ul(

1

) t'fr « !*>ra e Ihiusella -, Emilio l*inchio Rivista • Torino»

dtcrmbrr n>5-*

Brosso - P ian a Sclopii.

timo dei S. Martino se ne andò alla chetichella visto che,

cambiati i tempi, non si poteva più ricavar nulla, nè di

tributi, nè di decime. Lo spirito dei valbrossesi sera

temprato nel Tuchinaggio e nelle lotte ed a quei forti

valligiani non bastava essersi liberati dalla schiavitù che

durava da secoli: essi aspiravano nd una più ampia li­

bertà. Si erano dedicati alla pa.

J ai lavori mi­

nerari, ma dovevano comunque pagare notevoli tributi,

ora ai Savoia, ora al clero.

I

valbrossesi furono i primi a cospirare per ottenere

quello statuto ch’era nelle generali aspirazioni e che

Carlo Felice, Duca di Savoia, aveva negato. Sarebbe

lungo descrivere la parte avuta nei moti e nelle insurre­

zioni del 1821 da questi valligiani che in molteplici occa­

sioni dimostrarono la loro innata fierezza e la loro acer­

rima volontà di vivere liberi.

Una lapide murata nella casa comunale di Vico reca

incisi i nomi di coloro (professionisti, studenti e popo­

lani della valle) che sacrificarono la loro esistenza per

l’ideale dello statuto che il Re Carlo Alberto concesse

poi nel 1848.

La mulattiera che si snoda da Baio a Brosso e fian­

cheggia il torrente Assa, fra enormi massi erratici che

dimostrano gli sconvolgimenti e gli assestamenti del

suolo avvenuti dopo il periodo glaciale, è evidentemente

di costruzione romana. Questa mulattiera dava accesso

alla miniera dalla pianura ed i romani, che coltivarono

quella di Brosso e le altre ricche miniere di questa zona

la chiamavano «vallis caveana ».

Tale stradetta venne ricostruita ed ampliata nel 1809

(su di un grande lastrone è incisa la data), probabil­

mente per ordine di Napoleone che trasse giovamento

dalle miniere stesse, ordinando che ne venisse intensi­

ficato lo sfruttamento.

Negli ultimi secoli le miniere venivano già coltivate

industrialmente da numerose maestranze; infatti do­

dici minatori rimasero sepolti sotto la frana di un can­

tiere, come testimonia una cappelletta votiva eretta dai

superstiti poco a valle della cascata dell’Assa.

Verso la metà del secolo scorso in regione Vaicava

sorse una ferriera di proprietà del signor Garavetti che

probabilmente aveva la concessione della miniera e

procedeva alla fusione del minerale ricavandone ferro

per usi edilizi. Si ritiene che la cancellata recingente il

Santuario di Oropa sia stata fatta e lavorata in ferro

battuto tratto dalla ferriera di Brosso.

II