

Candidature regali
del duca di Genova Ferdinando di Savoia
R O C C O V I N C E N Z O M I R A G L I A
Rievoco la luminosa figura d’uno dei più prodi tra
i principi sabaudi, sul cui petto brillarono due medaglie
d ’oro al valore, militare e civile, e sarebbe stata appun
tata una terza dopo l'infausta battaglia di Novara, se
non vi si fosse opposto l’art. i l del viglietto albertino,
disponendo che il militare, già decorato due volte e
proposto per una terza ricompensa, dovesse ricevere
altro premio, che fu la promozione meritatissima a gene
rale d’esercito.
La temeraria prodezza, il carattere tutto d’un pezzo,
il contegno improntato sempre a nobiltà e a prudenza,
la coltura notevole pei tempi e la squisita affabilità del
tratto, mentre gli conciliavano l’universale estimazione
in Italia ed in Europa, lo designavano naturalmente
alle candidature regali, se pure la sua naturale modestia,
che non fu l'ultima delle sue virtù, gli faceva parere
troppo grave il peso d'una corona.
E, poiché giova seguire l’ordine cronologico, occorre
cominciare dalla confutazione d'un errore in cui involon
tariamente incorse il conte Clemente Solaro della Mar
garita, allorché nel suo
Memorandum storico-politico
scriveva che, caduto nel 1840 il governo egiziano e
spodestato l'emiro Bechir, si erano diffusi come per
incanto l’opinione e il desiderio che un figlio del re
Carlo Alberto — e non poteva essere cho il secondogenito
— cingesse la corona del Libano, della Siria e di Geru
salemme. E invero il console sardo a Beirut, G. B. Car-
peneti, in una lettera inedita al Solaro del 23 giugno
1841 fa esplicitamente il nome del principe Eugenio
di Carignano, alludendo alla voce sparsasi all’arrivo del
Phoenix
da Malta e del vapore postale inglese da Ales
sandria d’Egitto che nella conferenza di Londra fosse
stato ventilato il disegno di dare la Siria a quel prin
cipe (1).
Passano due anni. Ai primi del '43 un gentiluomo
ginevrino, il cui figlio Teotilo serviv a col grado di luogo-
tenente nello stato maggiore sardo, il conte Carlo Pictet
di Rochemont, persuaso, che il fermento liberale o,
com’egli si esprimeva, l’anarchia imperversante nella
Confederazione elvetica avrebbe ben presto provocato
una crisi più o meno grave e di conseguenza l'intervento
diplomatico, se non militare, degli stati limitrofi, con
vinto d’altro canto che, se un ritorno alle antiche forme
conservatrici era impossibile, era pur necessaria all’equi-
librio europeo l’indipendenza della confederazione stessa,
opinava che quegli stati avrebbero dovuto sostituire al
regime repubblicano il monarchico, costituendo un
granducato d’Elvezia, e se ne apriva in un primo tempo
al re Carlo Alberto e al suo gran scudiero, in un secondo
all’ambasciatore sardo a Parigi, marchese Antonio
Rrignole Sale, affermando già esistenti nei singoli cantoni
elvetici un partito monarchico e ponendo formalmente
la candidatura del Duca di Genova, non ancora ven
tunenne.
Col senno del poi si può affermare che un tal disegno
non poteva venir tradotto in atto; ma di tale avviso
non erano Carlo Alberto e il Solaro della Margarita,
che, interpellato dall'ambasciatore al riguardo, se gli
prescriveva, com’era naturale, di non compromettere
il governo sardo, di limita’- '
'"uire attentamente il
corso degli avvenimenti e ........ .,,nare al Conte Pictet
de Rochemont la raccomandazione di chiudersi nel più
prudente riserbo, all’evidente scopo di non destare
diffidenze e sospetti, che avrebbero irrimediabilmente
compromesso il suo disegno, cullò a lungo la speranza
di tradurlo in atto. Che se le loro intenzioni furono
frustrate, il disegno in parola prova se non altro come
fin dal '43 si pensasse che il Duca di Genova potesse
aspirare ad un trono (2).
Troppo nota è la candidatura sicula, per merito es
senziale del prof. Vittorio Cian, perchè io debba intrat
tenerne i miei cortesi lettori, tanto più che l’argomento
non si presta ad un cenno sommario; e mi limiterò ad
accennare una circostanza di fatto, che se non fosse
vera, parrebbe incredibile, quella cioè, che, dinanzi al
rifiuto formale opposto da Ferdinando di Savoia, il go
verno provvisorio osò pensare... persino ad un ratto!
Il 6 maggio 1854, come ci rivela il i ° voi. dei car
teggi cavouriani pubblicati a cura della Commissione
reale, il marchese E. d’Azeglio, ministro sardo a Londra,
indirizzava al Presidente del consiglio una lettera con
fidenziale, per conoscere il pensiero del governo sulla
possibilità ed utilità d ’una candidatura del Duca di Ge
nova ad un trono, che la marcia precipitosa degli avve
nimenti potesse rendere insospettatamente vacante, p.
es. quello di Grecia. Senza aver interpellato preventiva
mente il gabinetto sardo e in tono più faceto che serio
l’ambasciatore aveva lanciato qualche
ballon d’essai
ed
aveva acquisito la convinzione che, lungi dal combat
tere tale candidatura, i personaggi più eminenti l’ave
vano favorevolmente accolta e Io stesso ambasciatore
francese, parlandone accademicamente con lui, aveva
espresso l’opinione che, se gli avvenimenti avessero posto
gli alleati nella condizione di dare un nuovo assetto alla
Grecia, il suo governo avrebbe potuto prenderla in seria
considerazione. Donde la necessità pel D'Azeglio, prima
di spinger le cose tropp’oltre, di chieder consiglio al
Cavour, per non batter falsa strada, nè fare dello reio
intempestivo.
Ma il gran ministro, rispondendo il
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giugno, se per
un lato ammetteva che l’idea di una candidatura di
S. A. a un trano, il quale si rendesse, o — si noti —
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