

notte iiinltr.it.i
sono parole ilei Sedila
giunti
davanti all i casa ilei generale, facemmo vibrare il
portone con un s^r.m colpo ili battente, seguito ili
un secondo. poi ila un terzo incora più violento ilei
precedenti, in seguito al quale il portinaio si decise
tiiialniente a uscire dal suo sjubuz/ino. Lo udimmo
dirigersi verso il portone Immolando. In tono irato
ci chiese chi noi fossimo e poiché Vittorio Km untele
si limitò a rispondere semplicemente di voler par
lare col generale Dabormida il portiti no replicò di
voler sapere innati
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tutto chi culi fosse.
• Che ve ne importa?
disse il mio compagno
che cominciava a irritarsi
voglio parlare al gene
rale e questo basta .
Ali! voi volete' Kbbene
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non voglio e voi
aspetterete tino a domani. Sua Kccellenza è a letto
e non lo sveglerò. And ite al diavolo •. Noi lo sen
timmo allontanarsi a passi lenti e rinchiudere la
porta dello sgabuzzino. Vittorio Kinanuele era fnri-
Ixmtlo. Stava già albeggiando. Kgli aveva bisogno
ili parlare col generale e non voleva andarsene via
prima di averlo veduto. Nello stesso tempi jktò gli
premeva non tradire l’incognito. Afferrando ei»li
stesso il battente del portone cominciò .• vibrare di
bel nuovo violentissimi colpi. Il baccano fu tale che
il portinaio uscì per la seconda volta dalla sua stanza
e, precipitandosi verso il portone senza aprirlo, ci
minacciò di scacciarci a colpi di randello, minaccia
accompagnata dalle bestemmie più energiche. Vitto
rio Kmanuele aveva veramente jKTiluto la pazienza
e voleva sfondare
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cosa. Lo predai allora di la
sciare che intavolassi, iti m-ulo più dolce, trattative
col portinaio. Feci scivolare sotto il portone un liel
pe/zo da cinque lire con le armi sabaude e la effigie
di Carlo Alberto, dicendo in tono scherzoso: Kb!
mio caro! Volete sapere chi siamo? Kcco il ritratto
del padre di uno di noi. Aprite, presto, se no guai
a voi ... Il tono del jiortinaio si raddolcì immedia
tamente. Dopo esserci lasciato pregare ancori alcuni
istanti aprì finalmente il portone. Mi congedai allora
ila Vittorio Kmanuele. il quale, dicendomi arrive
derci. aggiunse: Verrò presto a saldare il mio de
bito «li cinque lire ... Parecchie volte il IX- Reiset
domandò, ridendo, la restituzione delle cinque lire
date al portinaio del generile Dabormida. ma poi
ché il Re non avev i mai un soldo in tasca, non le
restituì mai. La qual cosa, conclude il diplomatico
francese, dimostra che non bisogna mai prestare de
naro a nessuno, neppure a un Sovrano.
Da quando Vittorio Kmanuele salì al trono, il
I
V
Reiset non rivide più
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casa sua
rrumsieur Mar
(’n,
però il Re lo avev
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autorizzato ad andarlo a tro
vare qualsiasi volta che lo avesse desiderato. Il dipi *
n'atico francese si recava a palazzo reale facendo
preavvisare il valletto del Re del suo prossimo arrivo.
Accedeva
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una scala di servizio situata al
c e n tr o
ilei portici a destra del cortile
in t e r n o
del jializzo
e veniva introdotto alla presenza di Sua Maestà senza
procedure di etichetta. S
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sso
il Re lo riceveva in
costume da caccia, a tavola, mentre stava mangian
do un jxillo con le cijxille, che era il suo piatto pre
ferito.
Vittorio Kmanuele detestava i ricevimenti mon
dani. i pranzi ufficiali ed i balli di Corte, insomma
tutto ciò che sapeva di rappresentanza e di etichetta.
Una sera ad un ballo offerto dai IXichi di Genova
a Palazzo Chiablese, il De Reiset, dopo di aver dan
zato con la Duchessa (i), si incontrò con il Re. Que
sti gli disse : ■Voi dunque ballate >•. •<K voi no.
Sire?
rispose il IX Reiset. ■<Oh! non ho alcuna
simpatia
j k t
il ballo — riprese il Re — e non capi
sco che gusto ci si trovi a girare in quel modo. Mi
jxtr cosa ben ridicola! ».
Massimo d’Azeglio che — al pari del Re — dete
stava egli jnire tutto ciò che era mondanità ed eti
chetta. partecipava una sera ad un gran pranzo di
Corte. IXirante il quale un valletto si avvicinò a lui
(ì)
Elisabetta «li Sassonia, moglie ili Ferdinando ili Sa-
xoia, fratello ili Vittorio Emanuele, madre della Regina Mar
ghcrita e del Prineijje Tommaso.