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M A R I U S R U S S O

Ecco il pane. Voglio dire il pane quotidiano, ma

dignitoso, distaccato, solenne, come non l'ho mai

visto. Il pane che spezziamo con le mani tutti i

giorni, immancabile e vitale elemento della nostra

mensa, col quale abbiamo spartito e spartiamo, da

sempre, le lagrime e i sorrisi, è qui, sistemato

nelle bacheche come in preziosi reliquari, su piedi­

stalli a fare statua, monumento, emblema, feticcio,

rudere, pezzo di scavo. L'arte più ascetica, quella

che mira a raggiungere, con mezzi poveri e puri,

le regioni più disinteressate del pensiero e del sen­

timento, qui non è soltanto sorretta dalla materia

alla quale si sforza di sfuggire, ma è nutrita da

quella. La farina di grano, quella che i panificatori

chiamano « il fiore », di cui l’artigiano (sarebbe

meglio dire l’artista), si è servito, rifiuta le vec­

chie antinomie spirito-materia, materia-forma, per

darci soltanto valori spirituali autentici.

Si visita questa Mostra del Pane che l’Associa-

zione Panificatori di Torino ha fatto allestire dal

pittore Assetto alla Galleria de « La Nuova Bus­

sola », col contegno riguardoso e un po’ trepido

di chi va a far visita a un parente prossimo che

ha fatto fortuna e ha tutto predisposto per diver­

tirsi. con bonaria malizia, al nostro incredulo stu-

|)ore. È in mostra qualcosa che ci appartiene inti­

mamente. che sa delle nostre origini, testimonia

delle nostre tradizioni e della continuità di un

rito quotidiano che l’umanità intera assolve per

esistere.

Noi siamo tutti autori di drammi, di scene fan­

tastiche. di relazioni e coincidenze inusitate, che

ci sono offerte nei sogni dalla fantasia. Inven­

tiamo

cioè

degli esseri, delle entità,

ossessive e

illusorie ma che hanno sempre un particolare

equilibrio formale, anche se inverosimile rispetto

alla favola, ma coerente col mondo reale o con

l’immagine che di esso ciascuno di noi si figura

dentro di sè. Invece il mondo formale dei panifi­

catori, che pure ci è familiare, non ci appartiene,

ha una tradizione autonoma, come è autonoma

la sua attività, che è un ripel

colare entro

limiti immutabili.

La materia, costretta dal capriccio di mani

ingegnose, è sottomessa al rigore di un puro pro­

cedimento astratto che quasi la volatilizza. Cioè

il concetto di forma è staccato da quello di utilità,

non essendovi in essa alcunché di funzionale, per­

chè tali forme nascono per essere distrutte, hanno

sì una utilità ma aggregatrice, di coesione, di sta­

bilità momentanea, prima di essere assimilate e

tornate al caos originario.

L’esame morfologico di queste forme può ser­

vire benissimo di base ad ogni poetica. Fin nelle

sue pieghe più remote, il pane cotto, è sempre

struttura e azione, vale a dire forma autonoma.

Come tutte le materie esistenti in natura, la farina

di grano ha una sua vocazione formale. Mediante

l'acqua e il fuoco, come accade per la ceramica,

questi artigiani dànno vita ad una grande varietà

di forme, che passano quasi inosservate nelle

mani di tutti; ma si tratta di forme scelte, non

soltanto per la comodità del lavoro, oppure nella

misura in cui servono ai bisogni della vita, ma

anche perchè

si

prestano a un trattamento par­

ticolare, perchè dànno certi

effetti. Così la

loro

forma, che

può sembrare

del tutto

bruta, suscita,

suggerisce,

propaga

altre forme. S’assiste

allo

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