

promessa di aiuto per i suoi sudditi, « incor che la
rovina dei mici disgraziati sudditi sia si grande clic a
pena si possa esplicar, non che scrivere, io volsi non
dimeno — scriveva Emanuele Filiberto al Duca d’Alba
— questi di farla intendere alla E. V. non già perchè
non mi rincresca infinitamente di essere costretto ad
annoiarla de li mici travagli, li quali io son certo sono
gravi al buono animo ch’ella ha verso di me, ma
acciocché intendendo e conoscendo quelle cose che
paiono incredibili, e sono incomportabili, meglio che
non sono state intese e conosciute per l’addictro, ella
potesse con più saldo giudizio et con mcnor tardità
et dilatione rimediar in un tratto c gli inconvenienti
irreparabili che soprastano per scrvitio di S. M. prin
cipalmente, poi in beneficio mio et per dar qualche
refrigerio ai mici sudditi che si può dir sono in cstremis,
a punto di render il solo spirito che gli è rimasto... ».
Ma anche le casse spagnuole erano vuote, tantocchè
i mercenari non esitarono ad ammutinarsi per essere
pagati cosicché, il nostro povero Duca, durante la sua
permanenza in Vercelli, si vide costretto ad anticipare
loro di tasca sua duemila scudi c diventar così egli
stesso creditore dei suoi alleati.
Dopo due mesi di permanenza in Italia Emanuele
Filiberto dovette ritornare in Fiandra senza nulla essere
riuscito ad ottenere, ma ciò non pertanto la Valle
d’Aosta conservava, fra sacrifici e dolori, la sua libertà.
Qualche mese trascorse ancora in attesa di soccorso,
poi verso la fine dell’anno la situazione divenne ancor
più critica; anche l’aiuto pecuniario del Duca è stato
assorbito dai lavori per rinforzare le difese della valle,
ed il vescovo Garzino cd il colonnello Dell’Isola deci
dono di recarsi a Milano dal Duca d’Alba per recla
mare almeno i duemila scudi, a cui sopra abbiamo
accennato, che dopo molto tergivisare il Duca spa
gnolo si decise a promettere. Il Vescovo allora rientra
ad Aosta lasciando al colonnello l’incarico di incas
sare il denaro. Lunga è l’attesa, inutili le implorazioni
e le minacce, la promessa rimane soltanto un pio
desiderio ed allora il Dell’Isola, convinto che ormai
gli aostani dovessero contare soltanto su loro stessi,
decide di ritornare fra loro.
In viaggio viene a sapere che i francesi, desiderosi
di privare i valligiani del loro capo, hanno deciso di
catturarlo e l’attendono al varco. Il vecchio soldato,
pur conscio del pericolo al quale va incontro e sapendo
di richiedere al suo corpo stanco, al suo animo acco
rato, uno sforzo superiore ai suoi mezzi, in pieno
inverno si dà alla montagna; tutto solo valica il Sem-
pior.c c si porta ai piedi del Gran San Bernardo. La
neve copre altissima la montagna; soffia la tormenta,
ma il colonnello non s’arresta, la valle artidata alla sua
difesa lo chiama con la voce imperiosa del dovere, il
pensiero dei suoi soldati lo sprona ed egli va senza
posa, sfidando la morte, il gelo, la tormenta.
Il
io febbraio giunge ad Aosta sfinito. Ai com
pagni che si affollano intorno fidenti risponde recli
nando il capo: « Nulla». Per lui momento si abbatte
poi si riprende, agli scorati presidi non porterà denaro
ma solo il conforto morale della sua presenza e debole,
col germe del nule contratto per le vie della mon
tagna, riprende il cammino.
Ispeziona le difese di Montojovct c di Bard, ma
quivi non può proseguire c nel forte è costretto a
mettersi a letto. Subito la gravità del male si palesa
e l’anùco suo, il Vescovo Garzino, che da Aosta è
corso a confortarlo, così ne scrive al Duca : « Laonde
il male se li è aumentato di mala sorte in modo che
vi è gran pericolo di sua vita. Et per consolarlo andai
mcrcol passato a Bardo a visitarlo e offriglicrgli ogni
mio piotcr in scrvitio c sublevamento suo, al che non
mancherò in caso di bisogno sij, per esser ben inerto,
come per havcrlo sempre conosciuto svisceratissimo
servitor di V. A. c di sua
111.maCasa. »
Ma nè il conforto dell’amico, nè le cure del me
dico messer Francesco, riescono di aiuto al prode sol
dato. Il
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febbraio del
1556
il colonnello Dell’Isola
si spegne in quel forte che per ultimo aveva visitato,
fra i suoi soldati che lo veneravano.
Il
28
, il castellano sig. De Laudes ne da avviso al
Duca con queste parole: « Hier du matin environ les
dix heurcs le sig. colloncl de l’Insulc allat de vie à
trepas. Dieu aie l’ame. Cortes V. A. a perdu un bon
sujct et serviteur et bien propre en cc pais pour votre
Service. »
Alla notizia della morte del fedele soldato forse il
Duca Emanuele Filiberto ebbe un momento di scon
forto ma poi levò alta la testa guardando in taccia
sicuro il suo destino.
Dalle rovine del vecchio Piemonte, dal suo popolo
*
prono ma non domo, il Principe ebbe l'incitamento
nuovo a lottare. Aosta fedele non piegò, soffri, attese
ancora, ma non passaron tant’anni cd il Principe ri
tornò fra i fedelissimi sudditi con la spada vittoriosa
e fu allora il cammino irresistibile c la costante ascesa
della nostra gloria.
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