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uva De Chirico) cd una infatuazione impressionista

che risale al suo primo soggiorno parigino c all’en­

tusiasmo per Manet, soggiorno parigino che lascia uria

traccia indelebile nella sua pittura tanto che il Rai­

mondi, autore di una pregevole monografia sul fer­

rarese, lo dice « l’unico pittore che in Italia abbia ca­

pito cd espresso il concetto impressionista» (cito a

memoria, mi perdoni il Raimondi), volutamente, di­

cevo, De Pisis ha abbandonato ogni scuola, ha ripu­

diato ogni tendenza, si è staccato dal mondo moderno

per rifugiarsi con la sua immaginazione fervidissima

e la sua fragile c capillare sensibilità, in un’atmosfera

rarefatta, nella quale il gusto delle cose antiche, la

suggestione della Roma barocca, la grazia superficiale

della Venezia settecentesca e la vaga sensualità del

Seicento ferrarese, vengono espresse in una forma biz­

zarra, quasi con rabbia, con un certo disordine, come

se ogni pennellata fosse un solco che egli vuole trac­

ciare nella tela, un graffio, un dispetto.

La forma e i contorni delle cose, le più strane,

come fiammiferi e scrviziali, che egli rappresenta, non

esistono, a ben guardare, delineati e precisi; è il co­

lore, solo il colore che, trattato nervosamente e a

tratti, può suscitare l’impressione dell’oggetto dipinto.

Un’impressione come di sogno, alle volte quasi di

delirio.

Troviamo alla « Bussola » una gallerìa di emozioni,

di sentimenti ne profondi ne tenaci, ma espressi con

eleganza; un virtuosismo di tocco inimitabile, biz­

zarro, che non pare nemmeno controllato; uno sfio­

rare appena il mondo ed i suoi problemi, come se

nulla avesse importanza al di là dcH’immaginc, non

meditata, subito dimenticata e superata.

De Pisis dipinge volentieri le farfalle: sono posate

sui fiori o stanno volando via dalla finestra. Le dipinge

perchè anche lui e quasi una farfalla; leggero, così

come loro, che quando si posano sugli steli nemmeno

li incurvano, De Pisis si posa sul mondo ed il mondo,

quando lui se ne va con un quadro nuovo sotto il

braccio, rimane com’era. Di importante De Pisis non

ha detto niente. Si è divertito a volare un po’ da per

tutto, ha sfiorato gli uomini senza capirli (De Pisis

non conosce gli uomini, o forse li conosce troppo,

ma certo non come dovrebbe), si è fermato più a

lungo sul mare, rubandone qualche riflesso, ha trat­

tenuto nelle sue dita un po’ deU’intonaco dei muri e,

trovata una tela grezza, vi ha depositato i suoi tesori,

si è scrollato di dosso le sfumature delle ali ed c rivo­

lato via, un’altra volta.

Ma le farfalle sono belle c fa piacere vederle. Anche

De Pisis c bello e fa piacere andar con lui nelle calli,

a Venezia, fermarsi per la strada a vedere la gente e

passare un quarto d’ora nel suo studio senza modelle

a sentire il profumo dei fiori.

Le farfalle però non sanno niente della nostra vita,

non sentono che noi uomini abbiamo dei gravi pro­

blemi da risolvere e non possiamo rifugiarci in un

mondo lontano e senza tempo; non lo salmo perchè

non hanno il tempo di guardarci a lungo. Muoiono

così in fretta.

«Vorrei fermarmi un po’ di più — dicono — ma

non posso. Appena viene la sera devo finire c ho visto

così poco ! Mi ricorderò però del tuo vestito verde *.

Lo stesso fa De Pisis. Ha fretta, è impaziente, non

ha il coraggio di pensare, non vuole affrontare la fa­

tica c l’imprevisto dell’investigazione nell’interno delle

cose; potrebbe spezzare l’incanto e la poesia della sua

prima impressione.

Poesia ed incanto che esistono, elegantissimi, for­

malmente perfetti, che ogni volta stupiscono cd affa­

scinano per la scoperta di quella sensibilità che ha del

miracoloso, che è sempre nuova e diversa, ma che

quasi mai riesce a convincermi compiutamente.

Del mondo non v'è che un frammento, delizioso

ma particolare. Particolarismo. Ecco, se di difetto si

può parlare, il difetto (e la virtù mia d’aver finalmente

trovato un « ismo *) di De Pisis che, anche senza uni­

versalità, rimane e rimarrà sempre un piacevole, sen­

sibilissimo e buon pittore, uno dei migliori.

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