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Il critico è un signore, quasi sempre con gli occhiali,

che ha bisogno di ordine; non può permettersi il

lusso di andare ad una mostra per guardare i quadri,

semplicemente, per goderli, magari commuoversi e

dire: « Com’c bello! Quanto mi piace! *. No! Perde­

rebbe il posto se così facesse.

Il

critico deve andare alla mostra avendo già letto

ordinatamente tutto quanto, sull’autore dei quadri

esposti, c stato scritto dai Colleghi che lo hanno pre­

ceduto, deve conoscere dell’artista la vita, le mostre

fatte, i premi vinti, i giudizi delle firme più autore­

voli c, soprattutto, deve essere in grado di incasellare

immediatamente il suo autore neU’ambito di una

qualche scuola o accademia che dir si voglia; deve

procedere con chiarezza e serietà e, in omaggio alle

esigenze odierne che considerano l’isolamento uno dei

peccati più gravi, deve poter dire con parvenza di

verità che il pittore X si può ben dire appartenga alla

scuola di Y, che in lui si può visibilmente cogliere

l’influenza di Chagall e, se si sta bene attenti, ma

proprio bene, forse ci si trova anche un po’ di Matisse,

senza contare che effettivamente in certi momenti

pare di essere di fronte al più puro cubismo.

Per dire queste cose pulitamente i critici, che hanno

bisogno di ordine, si sono andati costruendo un ab­

bondante vocabolario tecnico, ricco di belle parole dif­

ficili che, immediatamente e senza tante lungaggini,

chiariscano al lettore concetti c giudizi. Al lettore ini­

ziato, s’intende.

Il «Qui non si entra se non si è geometri » è oggi

una condizione essenziale per qualunque cosa vogliate

fare, godere ed imparare. E non è nemmeno del tutto

sbagliato.

Però era un’altra la cosa che volevo dirvi. Questa

precisamente. L’imbarazzo del critico quando, abi­

tuato ormai a giudicare un pittore c a valutarlo solo

quando gli riesce, più o meno forzatamente, di inqua­

drarlo in uno dei tanti « ismi * che ora vanno di moda,

si trova di fronte ad un tipo coinè... come De Pisis

ad esempio. '

In questi giorni è stata organizzata qui a Torino,

alla « Bussola» una sua personale: quadri messi a di­

sposizione da collezionisti c da ricchi signori che pos­

sono permettersi di limare Ir

della camera da

pranzo con delle « firme ». Ottmu quadri che, scelti

come sono opportunamente, dànno una buona idea

completa della carriera pittorica dello stravagante De

Pisis che, sul cielo di un suo paesaggio, scrive entusia­

sticamente: «

W Carri

» manifestando così la sua

ammirazione per il collega ed amico.

È difficile, è imbarazzante per il critico trovare un

«istno» che si confaccia al genio di De Pisis. Non

primitivismo, non arcaismo, nemmeno esotismo (e cito

gli « ismi » che godono maggior fama). Potrei conti­

nuare all’infinito, ma sempre senza successo.

E allora ? Allora nù secco, mi viene a noia la ri­

cerca, abbandono le scuole, le accademie e le tendenze

e guardo lui, De Pisis soltanto.

Un uomo malato, che non può più dormire

e

dipinge quasi saltellando, giocherellando coi colorì

— un tocco qui, uno là — come un ragazzino che

fa

volentieri i capricci, ma uno di quei ragazzini

nervosi,

che urtano tutto quello che sta loro vicino,

graffiano,

mordono

e

tirano calci.

La storia di De Pisis (ebenché si tratti di un contem­

poraneo, e anzi forse proprio per questo, d si imbatte

di frequente in reticenze, in ricordi piuttosto vaghi,

in affermazioni titubanti) è una storia difficile da rico­

struire, proprio perchè al di fuori di ogni possibilità

di incasellamene. Ci troviamo di fronte ad un genio

impaziente, insofferente, che rimane al di fuori e al

di sopra delle beghe letterarie ed accademiche dd

nostro tempo, ma che volutamente, dopo qualche gio­

vanile tentativo di pittura metafisica (quando freqt