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in diversi fabbricati di quest'epoca le prese di acqua

sono ricavate in nicchie, con lavello, poste nei muri

verso cortile e accessibili dai ballatoi, vicino alle

scale.

È il Regolamento del 1905 che introduce il con-

cetto che vi sia una latrina aerata per alloggio (nella

proporzione di almeno un servizio ogni sei camere),

conferma che la stessa non sia sporgente in bussola

sui balconi, non si apra su camere di abitazione o

cucine e ammette le latrine con aerazione dalle sca-

le, soluzione assai diffusa in tali anni.

Il Regolamento del 1926 richiedeva che ogni

alloggio disponesse di una cucina con acqua propria

interna e una latrina (per alloggi di sole due camere è

accettata una latrina ogni due alloggi); le latrine non

dovevano sporgere dal fabbricato salvo mediante

avancorpo a torre (tipico elemento ritrovabile in

edifici dell'epoca), non potevano aprirsi su cucine o

altro locale di abitazione, dovevano essere sempre

aerate direttamente, dovevano disporre di antilatrina

ventilata e illuminata.

Erano accettate le cosiddette « latrine doppie

(una accessibile da ballatoio, una in corrispondenza

accessibile dall'interno).

Nel 1930 una modifica al Regolamento di Igiene

(29 novembre) imponeva infine l'accesso alle latrine

esclusivamente dall'interno degli alloggi, secondo

uno schema che si stava diffondendo ormai univer-

salmente.

Tra le disposizioni riguardanti le

caratteristiche

costruttive e realizzative

degli edifici, si segnalano

le prescrizioni che si riferiscono ai balconi, ai corni-

cioni, alle finestre, ai camini, ai rivestimenti delle

facciate.

Per quanto riguarda

i

balconi

(materiali costi-

tuenti, posizione, ecc.) il Regolamento del 1843

imponeva nella loro costruzione l'uso unicamente di

lastroni e mensole di pietra, ringhiere di ferro o ba-

laustre di pietra (fatto richiamato anche dai succes-

sivi regolamenti). Se il balcone aveva sporto supe-

riore a 25 cm doveva essere sorretto da mensole ed

essere posto ad una altezza non minore di 5 m dal

suolo pubblico. Si faceva inoltre obbligo nelle ri-

strutturazioni di sopprimere i balconi in legno.

Il successivo Regolamento del 1862 modificava

l'altezza minima dal suolo a 4 m e permetteva per

balconi con sporto inferiore a 25 cm altezza minima

3 m (disposizioni riconfermate dal Regolamento

1900) .

Il Regolamento Edilizio del 1913 portava l'al-

tezza minima di balconi e bovindi a 4,25 m (misura-

ta sotto i lastroni) e a 3,50 m (misurata sotto i modi-

glioni). Veniva fissato inoltre lo sporto massimo in

1,60 m e comunque inferiore a 1/10 della larghezza

della via (queste disposizioni furono confermate nei

regolamenti successivi).

• Per quanto riguarda i

cornicioni

il Regolamento

del 1843 vietava la realizzazione di pantalere in le-

gno su via pubblica e imponeva i cornicioni. Nel

caso di restauri dovevano essere soppresse le panta-

lere in legno. Il Regolamento del 1862 impose di

sostituire (entro tre anni) tutte le pantalere in legno

su via pubblica. A questo riguardo è possibile notare

come sia frequente trovare edifici ottocenteschi con

cornicioni in muratura su via e sporti in legno su

cortile.

Per quanto riguarda le

finestre

il Regolamento

del 1843 imponeva che quelle delle cantine fossero

praticate nel muro di fabbrica, munite di inferriate, e

mai aperte orizzontalmente sul suolo pubblico.

Il Regolamento del 1862 confermò tale norma

con la sola eccezione di permettere aperture orizzon-

tali sul marciapiede, in caso di portici (oppure qua-

lora non si potesse diversamente).

Nel 1926 il Regolamento impose che la superfi-

cie finestrata degli ambienti non fosse inferiore a

1/10 della superficie della stanza e mai minore di 1,5

mq.

Per quanto riguarda la posizione dei

camini

il

Regolamento 1843 vietava la costruzione di camini

sui muri perimetrali che confrontavano piazze o vie

pubbliche (disposizione confermata dai regolamenti

successivi).

Per quanto riguarda i

rivestimenti,

i

materiali

da costruzione (

22

), le finiture,

ecc., il Regolamen-

to del 1843 obbligava oltre all'intonacatura dei muri

in mattoni l' imbiancamento e la coloritura della fac-

ciata con quelle tinte che sarebbero state approvate

dal Consiglio degli Edili.

Tra l'altro lo stesso regolamento prescriveva

l'incasso nei muri dei tubi pluviali sino ad una altez-

za di 3 m dal suolo, vietava l'uso di legno negli

stipiti delle botteghe.

Sulla questione del

colore

e

delle finiture delle

facciate il Regolamento del 1862 era particolarmen-

te ampio e al cap.

IX «

Delle opere esteriori ai fab-

bricati oltre a prescrivere l'intonacatura per tutti gli

edifici (ad esclusione di quelli a costruzione laterizia

a paramento con profilatura regolare) richiedeva i

coloramenti esterni in tinte secondarie pallide, es-

cluse quelle troppo vivaci o troppo scure, l'unifor-

mità di tinteggiatura per i complessi architettonici,

ecc. (

24

).

Oltre alle norme regolamentari precedentemente

analizzate si richiamano alcune disposizioni partico-

lari contenute in piani di fabbricazione interessanti

delimitate zone della città, che hanno vincolato l'e-

dificazione con certi tipi edilizi definiti secondo al-

cune caratteristiche prefissate.

Rappresentativi e fondamentali, poiché le relati-

ve prescrizioni furono riprese nei decenni successivi

e applicate in altre zone, sono i piani che hanno

interessato i terreni resisi liberi dai diversi sposta-

menti della Piazza d'Armi (

25

); tra questi la lottizza-

zione del

1872

di terreni compresi tra gli attuali

Corsi Matteotti, Re Umbe

rt

o, Stati Uniti, Vinzaglio,

prescriveva una parte (la zona a sud di Corso Vitto-

rio Emanuele II) pianificata a « villini e palazzine di

vario stile con cortili e giardini chiusi da cancel-

late « (

26

) e una parte a libera fabbricazione vinco-

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