

S. GIOVANNI
Dagli scritti resi di pubblica ragione sin qui pare si possa
affermare che sia sinora passato inosservato un tentativo
fatto di ristaurare o di riedificare il nostro duomo. Ecco
quanto ' ci rivela la corrispondenza diplomatica esaminata.
Da Torino,
il
23 novembre 1729, Vittorio Amedeo II scri–
iVeva al marchese d'Ormea:
« '"
Avendoci
il
De Caroli
«
informaro di ciò che gli avete risposto in ordine all'esame
«
dei disegni e progetti fatti per la riedificazione del Duomo
«
di questa città, vi diciamo che sarà anche proprio della
«
vostra attenzione di prendere costà quei sentimenti e con·
«
sulti che stimarete più accertati, senza però farne alcuna
«
pubblicità, acciò in ogni caso possiamo essere istrutti di
«
questi fondamenti che si possono avere non solo per il
«
concorso degli ecclesiastici che del rimanente dello Stato ad
«
una tal opera
l)
(I).
Vittorio Amedeo II, avuto il disegno,
volle richiedere del loro avviso l'abate Francesco Domenico
Bencini da Malta, già professore di teologia nel Collegio
urbano
de Propaganda fide,
poi professore a Torino nell'Uni–
versità ristaurata dall'accennato sovrano, e
il
padre Presset.
E poscia, non pago, faceva studiare quel parere in un .congresso
al quale chiamò il marchese Nicolò Pensabene, siciliano,
ministro di Stato, il primo presidente Gian Francesco Zoppi,
poi gran cancelliere,
e
il dottor Francesco Mellonda, profes–
sore di leggi. Quel congresso non approvava il parere dato
dai sullodati, il perchè
il
Re !imitavasi d'inviare a Roma il
disegno senz'altro. Ma null'altro a me di tutto ciò risulta
che questo brano di lettera del ministro, che '
il
5 aprile del
successivo 1730 scriveva al De Caroli:
« •••
S. M. mi
«
comanda di sollecitare V. S.
IlI.maper la spedizione dei
«
pareri commessi sul fatto del nuovo Duo111o e dell' opera
«
di Soperga (cioè la congregazione ecclesiastica imaginata
«
dal marchese d'Ormea), volendo, massime quanto a que-
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Lettere MiniItri.