LAGNASCO E LO STORICO CASATO DE' SUOI SIGNORI
il Conte Prospero Balbo al proprio figlio Cesare —
un gabinetto dove, di ritorno dal servizio a Corte,
rientrava a rifarsi dei déboires soliti, e su la cui porta
aveva, all'uopo, posta la misteriosa iscrizione che
niuno sapea leggere: « A. I. F. A. P. A. N. E. N. ».
Ed era espressione, in pretto piemontese (Ai fa pa
neri), della superiorità d'animo del gentiluomo, leale
a tutta prova, com'ebbe a riconoscere Carlo Ema
nuele IV, quando, abdicatario in Roma, disse al figlio
deH’ultimo Conte di Lagnasco: «Sera trovato chi
aveva voluto seminar dissapori tra mio padre e me.
Il vostro fece uffizio diverso: mi conservò l’affetto
di mio padre senza mai farmene motto; ed io da lui
noi seppi mai » (8).
Come un vetusto albero che sul declino sfoggi
supremo vistoso rigoglio di fronde, l'antica famiglia
quasi millenaria emanerà nelle generazioni del pe
riodo finale più insigne ancora la bellezza delle pro
prie virtù patrie da legarne la grata memoria alla
posterità, sia pure sotto il nome d'ultima accessione
di Marchesi d'Azeglio.
Breve coorte ottocentesca, capeggiata da Cesare
d’Azeglio, tipica figura di quell’eroismo subalpino
che nel nome di Savoia fu iniziatore della redenzione
nazionale, eroico difensore del Territorio nella guerra
dei quattro anni su le Alpi Occidentali, nei combat
timenti di Rauss nel Nizzardo e alle Acque Rosse,
in Valdosta, al Piccolo San Bernardo (9). Eppoi i figli
Roberto e Massimo, con benemerenze nazionali che
la Patria non oblierà mai, nonché Prospero, il gesuita
(8) A. G. Tononi:
II march. Cesare
d’Azeg/io, in «Rassegna Na
zionale ». Firenze, 1° giugno '84.
(9) V. anche i n. saggi:
Un soldato del vecchio Piemonte,
in «Le
Opere e i Giorni ». Genova. 1° febbraio '31. e
Cesare d'Azeglio e il
Risorgimento, in «Giornale d’Italia», 27 nov. '30.
Padre Luigi Taparelli fondatore della «Civiltà Cat
tolica» ed estremo esponente della coltura tradi
zionale della famiglia. Infine con Vittorio Emanuele
d’Azeglio, figlio di Roberto, che, dopo i tanti meriti
acquisiti come ambasciatore a Londra nel periodo
attorno all’unificazione, fondava l’Opera Pia Tapa
relli in Saluzzo, a ricovero dei derelitti e degl'infelici,
con un lascito quasi totale delle proprietà avite: tre
Castelli, ventiquattro campagne e tre molini, per un
complesso valutato, all’atto di fondazione — 1888 —
sopra i tre milioni, e corrispondente, su le rendite
annue, al valore odierno di oltre dodici milioni.
Egli, che dell’illustre prosapia era riuscito a riu
nire ancora in unica proprietà le varie parti del Ca
stello di Lagnasco, passato per matrimoni alle famiglie
comitali dei Vacca di Piozzo, de' Reineri, dei Boyl
di Putifigari, dei Di Pamparato, compiè altresì una
sintesi storica degli antenati, chiudendo con simili
considerazioni, caratterizzanti di che fibra fosse l'al
bero glorioso che in lui era prossimo a morire:
«J'ai depuis longtemps pris l’habitude de considérer
mon róle comme terminé en ce monde. Comme
destiné seulement à mettre le logis en ordre, avant
qu'on ne ferme pour la nuit. Et quand on touche
le 70, on peut n’avoir besoin que des doigts d’une
main pour compter quand la nuit doit arriver. Au
reste, que ce soit la nuit ou que nous l’appellions
le jour, arrivés à ce point final les ancétres seront de
peu d'utilité, et Dieu vous demanderà, non qui vous
avez été, mais ce que vous avez été » (10).
Alla conclusione riassumente lo spirito di vera
nobiltà di tutta la storica progenie dei Signori di
Savigliano e del Maresco, Conti di Genòla e di Cor-
tandone, Marchesi di Montanera e di Azeglio, gl'ita
liani d'oggi e di domani rispondono commossi e
risponderanno sempre: « D'Accordi ».
MARCUS D I HUMUS
(10) Une
famille,
cit., pag. 73.